Al Festival di Venezia mons. Celli consegna ai fratelli Dardenne il Premio Bresson:
"Il loro è un cinema che sonda le profondità dell'uomo"
Alla Mostra del Cinema di Venezia è stato consegnato questa mattina per mano dall'arcivescovo
Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali,
il Premio Bresson della Fondazione Ente dello Spettacolo ai registi di origine belga
Jean-Pierre e Luc Dardenne, campioni del rigore e della pietà che hanno fatto del
cinema arte al livello più alto. Il servizio di Luca Pellegrini:
“Erano
anni che pensavamo ai fratelli Dardenne come legittimi destinatari del Premio Bresson,
non esiste nel cinema contemporaneo un sodalizio artistico altrettanto duraturo e
fecondo”. L’attesa così espressa da Mons. Dario Viganò si è concretizzata questa mattina
alla Mostra di Venezia: sorridenti, disponibili, i due registi belgi hanno ritirato
il Premio dalle mani di mons. Claudio Maria Celli. Come la Chiesa,
essi pongono al centro della loro cura artistica e del loro interesse cinematografico,
l’uomo nella sua completezza e complessità. Eccellenza, è un impegno etico condiviso
sui cui riflettere:
R. – Credo che questo gesto della Chiesa, con la
decisione di attribuire il Premio Bresson ai fratelli Dardenne, abbia per noi un significato
profondo: la Chiesa è attenta alla realtà del cinema e in questo caso è molto attenta
all’opera di questi due fratelli, perché con tono delicato ma incisivo e attento,
stanno cercando di capire quale sia la vita dell’uomo di oggi, quali le angustie e
i desideri, le sofferenze e le angosce. Credo che i fratelli Dardenne abbiano cercato
– attraverso la loro opera – di scavare l’animo dell’uomo di oggi per percepirne gli
aneli, le speranze. Quindi, mi sembra che risieda in questo l’importanza del Premio.
Non si tratta solamente di due registi attenti a tematiche religiose, ma direi che
entrambi danno un significato più vero, più profondo al termine di "religiosità":
perché è un’attenzione precisa e serena a quello che l’uomo vive, a ciò che l’uomo
sperimenta. Un’opera, dunque, che vuole cogliere l’uomo in tutte le sue dimensioni,
con un riferimento particolare proprio al cammino dello spirito. Direi in sintesi
che questo è il significato del Premio Bresson di quest’anno: un’attenzione mirata
all’uomo e al suo camino come uomo, ma con una umanità ricca di intensità spirituale.
Quando il cinema fa scelte di alto profilo, pur se rischiose o discutibili,
aiuta certo a capire l’uomo e il mondo, il cuore e l’anima, arricchisce e suscita
domande sulla verità e la vita, sulla responsabilità e la coscienza. Non trova, eccellenza,
che sia un mirabile strumento in mano al cristiano?
R. – Direi che è
uno splendido strumento, non sempre utilizzato. Ricordo nella mia vita di giovane,
nella mia vita di sacerdote ed anche adesso al Pontificio Consiglio il significato
profondo di questo Premio: vedere proprio dove e cosa cerca il film oggi. Io ritengo
che, ancora una volta, la Chiesa proprio attraverso questi film, questa ricerca può
aiutare l’uomo proprio a ritrovare il senso della sua vita e il senso dei valori che
contano. (mg)
Jean-Pierre e Luc Dardenne: oggi vi viene
conferito un Premio di ispirazione cattolica: che cosa significa per la vostra vita
e la vostra carriera?
R. – Moi, je penses que dans la religion catholique... Io
penso che nella religione cattolica ci sia una dimensione universale molto forte e
che l’interesse per la sofferenza umana sia lì, nella religione stessa. Credo che
il nostro film, il nostro cinema, si interessi a questa stessa sofferenza. Quindi
ritengo che un premio – sia esso di ispirazione cattolica o protestante
o ebraica – debba secondo noi interessarsi all’essere umano, alla sua fragilità, alla
sua sofferenza e alle sue speranze. (mg)