2011-09-04 15:08:42

Libia: gli insorti si avvicinano a Bani Walid, ultima roccaforte del regime


Si stringe la morsa attorno a Gheddafi, con gli insorti sempre più decisi a conquistare la città di Bani Walid, una delle ultime roccaforti del regime. Alcuni scontri si sono registrati nella notte alla periferia della città, sebbene il presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Abdel Jadil, abbia ribadito che l’ultimatum alle postazioni fedeli a Gheddafi scadrà solamente sabato prossimo. Il servizio di Michele Raviart:RealAudioMP3

“In poche ore saremo a Bani Walid”, così un portavoce degli insorti ha annunciato l’imminente attacco alla città che, ad ascoltare le voci che circolano in Libia, sarebbe l’ultimo rifugio di Muhammar Gheddafi. Una decisione in realtà non del tutto in linea con la dirigenza del Consiglio nazionale di transizione, che spera di prendere Bani Walid negoziando la resa con le sparute forze ancora leali al colonnello presenti nella città. A Tripoli, intanto, l’inviato speciale dell’Onu, Ian Martin, diplomatico britannico ed ex segretario generale di Amnesty International, ha avanzato l’ipotesi di un futuro impiego dei caschi blu in Libia, opzione non particolarmente gradita agli insorti. “Grazie al nostro intervento sono state salvate migliaia di vite”, ha affermato intanto il presidente francese, Nicolas Sarkozy, in una conferenza stampa a margine dell’incontro internazionale di Parigi sul futuro della Libia, mentre il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, si è augurato che la gestione internazionale del nuovo corso libico non si tramuti nuovamente in un “grosso errore” come è già avvenuto in Iraq.

Ma quale sarà il futuro della Libia post-Gheddafi? E quale il destino dei Paesi raggiunti dalla “primavera araba”? Michele Raviart lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto di politica internazionale:RealAudioMP3

R. – E’ difficile dire quali saranno gli assetti reali, concreti, che prenderà la Libia, quando sarà finita la fase del conflitto. Questo è il momento in cui il sentimento anti-Gheddafi produce unità tra gli oppositori, ma bisognerà vedere domani, quando Gheddafi non sarà più un ostacolo che cosa succederà tra loro, tra le tribù, tra le diverse regioni della Libia, e anche cosa succederà rispetto alle diverse spinte nei Paesi che hanno dato una mano al rovesciamento di Gheddafi, perché gli interessi strategici, per esempio, di Italia e Francia sono completamente diversi.

D. – Questa settimana, c’è stato un violento scontro a livello diplomatico tra Turchia e Israele. Come possiamo leggere questo scontro nel contesto regionale?

R. – Io credo che anche questi scontri vadano letti prima di tutto in un contesto globale. Io credo che la Turchia sia un Paese sempre più importante, sempre più convinto del proprio ruolo internazionale e non solo locale. Credo che Israele, purtroppo, per un’abitudine decennale alla difesa e al sospetto nei confronti del mondo arabo, si sia un po’ bloccato su delle posizioni di chiusura totale, che sono sempre più difficili da gestire, in un angolo di mondo che non è più decisivo come prima, e le rivolte arabe lo dimostrano.

D. – In Siria, si è registrata ieri l’ufficializzazione delle sanzioni dell’Unione Europea contro il regime di al-Assad: si parla di blocco di importazioni di petrolio e messa al bando di alcune società. Questi provvedimenti sono efficaci?

R. – In generale, gli embarghi non hanno mai fatto cadere le dittature: hanno semmai intensificato le sofferenze della popolazione che alle volte si è ribellata nei confronti della dittatura. Non è l’embargo che ha fatto cadere Gheddafi, non è l’embargo che ha fatto cadere Saddam Hussein. Nei confronti della Siria il discorso è molto semplice: la Siria di Assad al momento attuale sta in piedi solo perché tutti hanno paura delle conseguenze. Nessuno riesce a prevedere che cosa potrebbe succedere se Assad se ne andasse in un Paese che è multietnico e governato da una minoranza alawita, rispetto alla maggioranza sunnita. Un’altra cosa che tiene in piedi la Siria di Assad è di non avere ricchezze petrolifere. Se avesse petrolio come la Libia, Assad sarebbe già stato eliminato.

D. – Nel complesso, la comunità internazionale sembra adeguata alla sfida e all’opportunità che sta dando questa primavera araba?

R. – Credo di no. Credo che alla fine il tanto criticato Obama sia stato il più pronto e il più furbo nell’affrontare questi problemi. Gli Stati Uniti hanno poggiato i rivolgimenti in Egitto e in Tunisia e così hanno messo bene i piedi nel Nord Africa. Hanno con molta discrezione appoggiato la missione militare contro la Libia di Gheddafi e, probabilmente, avranno una parola decisiva negli assetti futuri della Libia. Io credo che la comunità internazionale si faccia guidare quasi esclusivamente dall’interesse economico e credo che questo sia un criterio in un mondo in rapido cambiamento non più così assoluto come poteva essere all’epoca della "politica delle cannoniere" nell’800. (ap)







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