Siria: numerose vittime nel 27.mo venerdì di protesta. Embargo europeo contro il petrolio
siriano
Non si fermano le violenze in Siria: nel 27.mo venerdì di protesta, in coincidenza
col giorno di preghiera per i musulmani, si segnalano finora almeno 7 morti tra gli
attivisti dell'opposizione. Gli scontri si stanno verificando in varie città del Paese.
Intanto, l'Unione Europea ha approvato un embargo sul petrolio siriano a partire dal
15 novembre. La Siria produce circa 400 mila barili di petrolio al giorno, al 95%
acquistati dall'Ue. Le sanzioni, che colpiscono anche il gas siriano, hanno l’obiettivo
di spingere il governo di Damasco a desistere dalla repressione. Di contro, l’Europa
ha svincolato in favore della nuova leadership libica i beni finanziari sequestrati
al regime di Gheddafi per un ammontare di 15 miliardi di dollari e si appresta a discutere
con il Consiglio nazionale di transizione l’accessibilità alle risorse petrolifere
del Paese. Sull’attuale geopolitica euro-mediterranea, Stefano Leszczynski ha
intervistato Luciano Bozzo, docente di relazioni internazionali all’Università
di Firenze:
R. - L’intervento
in Libia è stato compiuto non soltanto per volontà di alcune potenze regionali - in
particolare, evidentemente, la Francia - ma anche perché questo intervento era oggettivamente
possibile: un eventuale intervento in Siria sarebbe estremamente più difficoltoso
semplicemente perché non vi sono le condizioni. Vero è che la Siria, al contrario
della Libia, non presenta - diciamo così - un piatto altrettanto ricco, anzi nemmeno
comparabile dal punto di vista delle risorse e in particolare quelle petrolifere o
di gas naturale.
D. - Se la Siria non è così importante da un punto
di vista energetico, che senso ha imporre delle sanzioni negli ambiti petroliferi
e dell’esportazione di gas?
R. - Si sta cercando - da parte sia dei
Paesi dell’Unione Europea che, soprattutto, degli Stati Uniti - comunque di esercitare
una pressione. Evidentemente stiamo parlando di un Paese che ha, da questo punto di
vista, risorse assai più limitate, ma che ha una straordinaria importanza geopolitica,
perché finisce con l’essere la chiave di volta per tutta una serie di equilibri regionali,
che sarebbero comunque sconvolti se si arrivasse ad un “regime change”
in Siria interno o indotto da eventuale intervento esterno.
D. - Il
caso del Mediterraneo, il cinismo espresso anche da molte Cancellerie per quanto riguarda
le risorse delle zone in cui si va ad intervenire militarmente non viene neppure nascosto.
Questo come si giustifica da un punto di vista di etica internazionale?
R.
- Non si giustifica affatto! Si è utilizzato all’eccesso il tema della tutela dei
diritti dell’uomo, non rendendosi conto di cadere nel paradossale e nel grottesco
applicando questo concetto alla Libia e, appunto, non applicandolo - chissà perché?
- ad altri casi ben più clamorosi. Si è cercato di nascondere la presenza di interessi
ben più concreti di politica estera di alcune potenze regionali. La guerra è stata
etichettata addirittura come “non guerra” e si è continuato a giustificarla in una
maniera che davvero - mi pare - poco accettabile.
D. - Adesso in sostanza
la corsa alle risorse libiche potrebbe anche provocare delle fratture all’interno
dell’Unione Europea?
R. - Forse tra alcuni di questi Stati membri: fratture
che erano, peraltro, già evidenti e che potrebbero essere in parte esacerbate. (mg)