2011-08-30 15:32:54

Ramadan cruento per le crisi in Nord Africa e in Medio Oriente


Il Ramadan, che si conclude in queste ore, verrà ricordato come tra i più cruenti degli ultimi anni, a causa delle violenze in Libia ed in Siria. In entrambi i casi, infatti, il mese sacro del digiuno non ha fermato le repressioni. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Paolo Branca, esperto di Paesi arabi dell’Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. – Purtroppo, non è la prima volta che accade nel mondo islamico: la moschea è stata spesso l’unico posto dove la collettività può radunarsi, ed essendoci regimi che non permettono la formazione di partiti, associazioni libere nella società civile, diventa anche una cassa di risonanza delle tensioni della società. Visto che questi Paesi sono in una fase di transizione molto dolorosa, purtroppo anche il luogo sacro ne viene in qualche modo coinvolto.

D. – Quella che tutti chiamano la "primavera araba", di fatto ha cambiato il mondo arabo. Riusciranno a convivere, secondo lei, le tradizioni del mondo islamico con la modernità che le nuove generazioni chiedono a gran voce?

R. – Sarà una grossa scommessa. C’è certamente tutta una serie di forze già radicate nella società, e anche di forze di opposizione, che hanno una visione ancora molto tradizionale, patriarcale, autoritaria del potere e sono ancora molto lontane dagli ideali rivendicati dalla gioventù che è scesa in piazza. Penso che, da quel punto di vista, sarà importante la solidarietà internazionale, la cooperazione anche se la crisi economica in atto non lascia sperare troppo ottimisticamente che ci sia una mobilitazione adeguata da parte della comunità internazionale.

D. – Egitto, Tunisia poi Libia, ma anche Siria, Bahrein, Yemen: Paesi diversi, situazioni diverse. Ma quali di essi, secondo lei, avrà alla fine maggiore stabilità dopo questa fase transitoria?

R. – Penso sarà importante valorizzare le forze della società civile, che è una cosa che però non si improvvisa: anche da noi, la democrazia non è nata da un giorno all’altro; al suffragio universale si è arrivati gradualmente, si è creata una serie di corpi intermedi, soprattutto la classe media, che in questi Paesi è molto debole. Quindi, si tratta dell’inizio di una transizione che sarà necessariamente lunga e non credo che si possa prevedere con facilità quello che succederà a breve scadenza, né tantomeno chi sarà vincente e chi perdente. Anzi, in certi casi la transizione si è già bloccata, laddove un regime autoritario è riuscito ad imporsi e a frenare la protesta della base.

D. – Le giovani generazioni attualmente vengono considerate, in tutti i casi, all’opposizione: all’opposizione rispetto ai governi. Si potrà attivare, secondo lei, un dialogo costruttivo per far sì che il futuro sia migliore, in questi Paesi?

R. – I governi dovrebbero essere coinvolti dalle forze politiche già esistenti e dovrebbero crearne altre, perché la loro partecipazione è stata fondamentale per dire “basta”. Ma la fase distruttiva è sempre più facile di quella costruttiva. Non sono organizzati, non sono strutturati come altre forze e quindi se la loro protesta è stata molto forte, molto efficace, sarà molto più difficile invece nella parte costruttiva trovare il modo di ascoltarli, di dare loro spazio come succede un po’ dappertutto: per i giovani, entrare nella "stanza dei bottoni" non è mai facile. (gf)







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