Ramadan cruento per le crisi in Nord Africa e in Medio Oriente
Il Ramadan, che si conclude in queste ore, verrà ricordato come tra i più cruenti
degli ultimi anni, a causa delle violenze in Libia ed in Siria. In entrambi i casi,
infatti, il mese sacro del digiuno non ha fermato le repressioni. Salvatore Sabatino
ne ha parlato con Paolo Branca, esperto di Paesi arabi dell’Università Cattolica
di Milano:
R. – Purtroppo,
non è la prima volta che accade nel mondo islamico: la moschea è stata spesso l’unico
posto dove la collettività può radunarsi, ed essendoci regimi che non permettono la
formazione di partiti, associazioni libere nella società civile, diventa anche una
cassa di risonanza delle tensioni della società. Visto che questi Paesi sono in una
fase di transizione molto dolorosa, purtroppo anche il luogo sacro ne viene in qualche
modo coinvolto.
D. – Quella che tutti chiamano la "primavera araba",
di fatto ha cambiato il mondo arabo. Riusciranno a convivere, secondo lei, le tradizioni
del mondo islamico con la modernità che le nuove generazioni chiedono a gran voce?
R.
– Sarà una grossa scommessa. C’è certamente tutta una serie di forze già radicate
nella società, e anche di forze di opposizione, che hanno una visione ancora molto
tradizionale, patriarcale, autoritaria del potere e sono ancora molto lontane dagli
ideali rivendicati dalla gioventù che è scesa in piazza. Penso che, da quel punto
di vista, sarà importante la solidarietà internazionale, la cooperazione anche se
la crisi economica in atto non lascia sperare troppo ottimisticamente che ci sia una
mobilitazione adeguata da parte della comunità internazionale.
D. –
Egitto, Tunisia poi Libia, ma anche Siria, Bahrein, Yemen: Paesi diversi, situazioni
diverse. Ma quali di essi, secondo lei, avrà alla fine maggiore stabilità dopo questa
fase transitoria?
R. – Penso sarà importante valorizzare le forze della
società civile, che è una cosa che però non si improvvisa: anche da noi, la democrazia
non è nata da un giorno all’altro; al suffragio universale si è arrivati gradualmente,
si è creata una serie di corpi intermedi, soprattutto la classe media, che in questi
Paesi è molto debole. Quindi, si tratta dell’inizio di una transizione che sarà necessariamente
lunga e non credo che si possa prevedere con facilità quello che succederà a breve
scadenza, né tantomeno chi sarà vincente e chi perdente. Anzi, in certi casi la transizione
si è già bloccata, laddove un regime autoritario è riuscito ad imporsi e a frenare
la protesta della base.
D. – Le giovani generazioni attualmente vengono
considerate, in tutti i casi, all’opposizione: all’opposizione rispetto ai governi.
Si potrà attivare, secondo lei, un dialogo costruttivo per far sì che il futuro sia
migliore, in questi Paesi?
R. – I governi dovrebbero essere coinvolti
dalle forze politiche già esistenti e dovrebbero crearne altre, perché la loro partecipazione
è stata fondamentale per dire “basta”. Ma la fase distruttiva è sempre più facile
di quella costruttiva. Non sono organizzati, non sono strutturati come altre forze
e quindi se la loro protesta è stata molto forte, molto efficace, sarà molto più difficile
invece nella parte costruttiva trovare il modo di ascoltarli, di dare loro spazio
come succede un po’ dappertutto: per i giovani, entrare nella "stanza dei bottoni"
non è mai facile. (gf)