Intenzione missionaria di Benedetto XVI: i cristiani dell’Asia annuncino il Vangelo
con gioia
“Perché le comunità cristiane sparse nel continente asiatico proclamino il Vangelo
con fervore, testimoniandone la bellezza con la gioia della fede”: è questa l’intenzione
di preghiera missionaria di Benedetto XVI per il mese di settembre. Il Papa si sofferma
dunque sull’importanza dell’evangelizzazione nel continente asiatico. Su questa intenzione
di preghiera, Alessandro Gisotti ha raccolto il commento di padre Alberto
Caccaro, missionario del Pime da dieci anni in Cambogia:
R. - In Asia
il cristianesimo è una minoranza e le comunità sono spesso molto sparpagliate, sono
piccole e numericamente insignificanti rispetto alla grande maggioranza - nel caso
della Cambogia - di credenti buddisti. Però, non ho mai considerato il numero un problema.
La mia esperienza in Cambogia - e penso che questo sia simile anche in altri contesti
asiatici - dice in fondo che la fede non ha bisogno dei numeri, ma ha bisogno di persone
credenti. Ci sono comunità sparse, ci sono comunità di minoranza, ma questo non vuol
dire che siano comunità deboli, anzi: la fede non ha bisogno dei numeri, la fede ha
bisogno di cuori credenti e quindi di persone che ricerchino costantemente il Signore.
D. - Il Papa invita i fedeli a testimoniare la bellezza del Vangelo
con gioia: si può dire che questo della gioia, una gioia che viene dal cuore, è un
segno distintivo dei cristiani dell’Asia?
R. - Le comunità che ho conosciuto
in Asia sono sempre state comunità vivaci, dove la gioia non è stata mai scontata,
ma è sempre stata il frutto e l’esito di un cammino prolungato nel tempo. Non dobbiamo
immaginare la gioia come l’accadere di un automatismo: è un frutto maturo della fede.
Per cui, prima ancora della gioia, secondo me deve accadere la capacità di percepire
il reale fino in fondo. La fede porterà la gioia alla fine soltanto se diventerà prima
un approccio alla realtà tutta intera. Ho sempre visto comunità che, piano piano,
illuminate dalla fede, riscoprivano la gioia di essere credenti, proprio perché comprendevano
molto di più se stessi e la realtà che li circondava. Riuscivano a intuire anche la
gravità dei problemi attorno a loro e a sperare in possibili soluzioni, senza rimandare
e senza delegare, ma senza nemmeno sognare soluzioni facili a problemi difficili.
D.
- Lei è da dieci anni in Cambogia: cosa vuol dire concretamente, nella sua esperienza,
l'evangelizzazione nella quotidianità?
R. - Io ho intuito come nella
mia esperienza in Cambogia evangelizzare significhi celebrare l’essere umano: mettere
ciascuna persona nella condizione di scoprirsi, di amarsi e quindi di saper amare.
Io mi sono impegnato nella scuola, nella salute. Sono stati i primi due ambiti nei
quali mi sono impegnato e, non a caso, sono anche gli ambiti in cui la Chiesa è molto
impegnata in Cambogia: attenzione ai malati e attenzione all’educazione, perché sono
entrambi due possibilità di celebrare l’umano, di esaltare l’umano in tutte le sue
forme. (mg)