Gheddafi sfugge ai ribelli e promette resistenza ad oltranza. Nella notte ancora raid
della Nato
Nuova notte di combattimenti a Tripoli, la cui periferia continua ad essere bombardata
dai caccia della Nato. Stamani almeno dieci fortissime esplosioni sono state udite
nella capitale. I ribelli sono riusciti ad espugnare il bunker di Gheddafi, ma del
colonnello e dei suoi figli ancora nessuna traccia. Il rais tuttavia si è fatto sentire
con un audio messaggio in cui sprona i fedelissimi alla resistenza ad oltranza e riferendosi
alla sua fuga dalla città parla di ritirata strategica. Nella capitale, intanto, si
fa difficile la condizione dei reporter che seguono il conflitto e che sono prigionieri
dei lealisti nell’Hotel Rixos Il servizio di Amina Belkassem: E la situazione
in Libia è stata protagonista anche al "Meeting di Rimini", dove è stato ospite Gian
Micalessin, inviato del quotidiano "Il Giornale" che recentemente è stato a Bengasi
dove ha girato un reportage tra i ragazzi protagonisti della rivoluzione. Gabriella
Ceraso gli ha chiesto quali possono essere gli scenari futuri nel Paese alla luce
degli ultimi sviluppi :
R. – Purtroppo
non faccio previsioni... Considero ed analizzo quello che è successo in questi sei
mesi e quello che sta succedendo adesso. Vedo un Consiglio nazionale di transizione
incapace di esercitare ed affermare la propria autorità su tutti i gruppi armati che
stanno avanzando verso Tripoli. I ribelli di Misurata dicono di non accettare l’autorità
dei ribelli di Bengasi e del Consiglio di transizione. I ribelli delle montagne occidentali,
ai confini con la Tunisia – e quindi le fazioni berbere – dicono anch’essi di non
accettare appieno l’autorità del Consiglio. Questo, al suo interno, è profondamente
diviso e quindi la situazione è veramente caotica.
D. – Il rischio somalo di
cui parla per il futuro della Libia in cosa consiste?
R. – Il rischio somalo,
purtroppo, è quello di una guerra protratta fra diverse fazioni. Quelle fazioni e
tribù che, ancora oggi, appoggiano il colonnello o, piuttosto, non tollerano di vedere
il futuro della Libia monopolizzato ed egemonizzato dai ribelli di Bengasi o berberi
o quelli di Misurata. Parlo soprattutto delle tribù di Sirte, di alcune tribù del
sud, parlo di zone dove il colonnello continua ad avere un appoggio ed una certa popolarità,
zone in cui i ribelli hanno certamente delle difficoltà ad avanzare e a concretizzare
la propria egemonia.
D. – La sorte di Gheddafi è ancora un punto interrogativo.
Ritieni che questo scenario sia stato “preparato” dall’egocentrismo dello stesso colonnello?
R.
– Io non penso che Gheddafi sia più in grado di organizzare o controllare alcunché:
è politicamente morto dallo scorso marzo come leader. Però gode ancora di appoggi,
ha molta disponibilità finanziaria con cui poter pagare chi combatte per lui ed ha
alle proprie dipendenze un personale militare più abile e più capace di quanto possano
essere i ribelli. Quello che noto è soprattutto un tragico parallelismo tra la sua
vicenda e quella di Saddam Hussein. Saddam era considerato il nemico numero uno dell’Occidente,
il male peggiore per l’Iraq, ed oggi viene invece rimpianto da molti iracheni, i quali
affermano che in fondo, ai suoi tempi, in alcune zone si stava perfino meglio.
D.
– Onu, Nato, Lega Araba, Unione Africana e Francia: questi i nomi che si sono fatti
in queste ore sul dopo-Gheddafi. A livello internazionale, chi potrà fare qualcosa
per la Libia?
R. – Le guerre vengono decise sempre da chi le vince. Qui bisognerà
vedere chi vincerà la guerra. Se la Nato riuscirà a vincere o se, invece, trasformerà
questa vittoria in una catastrofe per una serie di scelte mal prese e mal concepite.
Purtroppo vedo, ancora una volta, un tragico ripetersi di errori delle ipocrisie che
ci sono state all’inizio di questo conflitto. Io non vorrei che quest’ennesima ipocrisia
della Nato, che attende ad attribuire ai ribelli forze e capacità che non hanno e
a dipingere una situazione inesistente – com’era inesistente all’inizio del conflitto
l’imminente caduta di Gheddafi -, determini mali ancora peggiori ed ulteriori implicazioni
negative per il futuro libico. (vv)
Ad influire negativamente sul futuro processo
di transizione democratica della Libia potrebbe essere proprio la natura eterogenea
di questa entità statale rimasta per 40 anni sotto il pugno di ferro di Gheddafi.
A spiegarci perché è Lucio Caracciolo direttore della rivista di geopolitica Limes,
intervistato da Antonella Palermo: