Cristiani e primavera araba. Padre Pizzaballa: dalla speranza alla paura
La minoranza cristiana nei Paesi arabi sta seguendo con particolare attenzione il
processo di rinnovamento sociale e politico in atto in queste regioni. Non mancano
tuttavia le preoccupazioni. Se ne sta parlando anche al Meeting di Rimini, in questi
giorni. Con quale spirito i cristiani dei Paesi arabi stanno vivendo questi rivolgimenti.
Il nostro inviato a Rimini, Luca Collodi, lo ha chiesto al padre francescano Pierbattista
Pizzaballa, custode di Terra Santa:
R. - All’inizio
c’è stata grande speranza, come per tutti, soprattutto in Egitto. In Siria la situazione
è un po’ diversa. Adesso in Egitto c’è molta paura, molta incertezza, perché si è
visto che dopo una fase di euforia, dove c’era una comunione di intenti, sembra che
le parti più integraliste prevalgano a scapito proprio della minoranza cristiana.
Quindi c’è una grande incertezza e anche una grande paura. E’ la stessa cosa anche
in Siria dove i cristiani avevano e hanno ancora un trattamento di grande rispetto
e questi movimenti antiregime stanno creando una sorta di preoccupazione per la comunità
cristiana che si sente venire meno i punti di riferimento che l’hanno garantita per
tanti decenni.
D. – Qui al Meeting di Rimini un rappresentante dei Fratelli
musulmani dice agli occidentali e a quanti hanno paura, che in realtà le cose non
sono così brutte in Egitto e che i cristiani non devono temere alcun tipo di problema…
R.
– Mah ... su questo argomento è sempre difficile parlare, soprattutto per noi cristiani
che stiamo in Medio Oriente e in Terra Santa, perché è un argomento che si presta
a facili strumentalizzazioni e se tu dici che ci sono problemi tra cristiani e musulmani
sei accusato di voler accentuare le differenze e tenere ben distinti i campi. Se invece
dici che c’è collaborazione, c’è condivisione, sei un buonista … Ci sono tutte e due
queste esperienze, non c'è un aut-aut. Ci sono esperienze di condivisione ma ci sono
anche elementi di integralismo, di divisione, di persecuzione. Lo abbiamo visto, è
stata la cronaca. Non bisogna avere paura, lo diciamo sempre, bisogna avere il coraggio
della "parresia", dire le cose come stanno, con chiarezza, ma tenere un atteggiamento
cristiano di testimonianza, di apertura, di accoglienza, cercare in ogni caso di ricostruire
il dialogo e il rapporto. Questo perché anzitutto da un punto di vista strategico,
se vogliamo essere pratici, non c’è alternativa e poi perché anche la fede ce lo insegna.
In queste regioni la testimonianza della propria fede è l’unica cosa che possiamo
fare, trasmettere la nostra esperienza, la nostra testimonianza, che va al di là delle
lingue, delle culture, delle religioni, e che se è fatta con onestà e profonda convinzione
passa e arriva a chiunque. (bf)