Libia: i ribelli assediano il bunker di Gheddafi a Tripoli
Tra mille incognite, prosegue in Libia la battaglia per la conquista di Tripoli tra
milizie degli insorti e soldati lealisti. Le truppe del regime controllerebbero ancora
zone importanti della capitale. Nulla di certo invece sulla sorte di Gheddafi, se
non quanto riferito nella notte ai giornalisti dal figlio del colonnello Saif al-Islam,
secondo il quale il rais è a Tripoli e “giuda la battaglia”. Il punto nel servizio
di Marco Guerra:
Dalle prime
ore di questa mattina il bunker di Gheddafi a Tripoli è sotto l’attacco degli insorti
che, secondo le ultime testimonianze della stampa, sono a 500 metri dal compound-fortezza
di Bab al Azizya. In supporto alle milizie di terra, gli aerei della Nato continuano
a sorvolare l’area e a bombardare il rifugio del rais. Nuove forti esplosioni sono
state udite dai giornalisti della stampa estera che risiedono nel vicino Hotel Rixos,
in una zona strettamente sorvegliata dai lealisti e dove la notte scorsa si è presentato
a sorpresa figlio del collonello, Saif al Islam, che ha ribadito la difesa ad oltranza
della capitale. Nel resto della città i combattimenti si concentrano nei quartieri
orientali. E dopo i festeggiamenti di ieri la popolazione civile non si arrischia
ad uscire per le strade, dove si spara a vista tra le milizie del regime e gli insorti.
I media riferiscono dell’uso di mezzi corazzati da parte dei ribelli e che le forze
pro-Gheddafi rispondono al fuoco con armi pesanti, come i mortai. E a Tripoli iniziano
a esserci seri problemi di elettricità, da oltre 12 ore le zone sotto completo controllo
dei ribelli sono soggette a un black out, mentre è emergenza sanitaria con un solo
ospedale funzionante in tutta la città. Sul terreno gli insorti sono dunque ancora
lontani dal pieno controllo della situazione come conferma la Nato che parla di “missione
non ancora conclusa”. Ma sul piano politico è ormai senza indugi il credito dato dalla
Comunità internazionale al Consiglio Nazionale di Transizione. E si attendono risposte
dalla riunione degli ambasciatori dei Paesi Nato oggi a Bruxelles, mentre giovedì
a Istanbul si riunirà il gruppo di contatto sulla Libia. Infine, entro la fine della
settimana, vertice Onu con la partecipazione dell'Unione Africana e della Lega Araba.
E
la situazione in Libia è stata protagonista anche al "Meeting di Rimini", dove è stato
ospite Gian Micalessin, inviato del quotidiano "Il Giornale" che recentemente
è stato a Bengasi dove ha girato un reportage tra i ragazzi protagonisti della rivoluzione.
Gabriella Ceraso gli ha chiesto quali possono essere gli scenari futuri nel
Paese alla luce degli ultimi sviluppi:
R. – Purtroppo
non faccio previsioni... Considero ed analizzo quello che è successo in questi sei
mesi e quello che sta succedendo adesso. Vedo un Consiglio nazionale di transizione
incapace di esercitare ed affermare la propria autorità su tutti i gruppi armati che
stanno avanzando verso Tripoli. I ribelli di Misurata dicono di non accettare l’autorità
dei ribelli di Bengasi e del Consiglio di transizione. I ribelli delle montagne occidentali,
ai confini con la Tunisia – e quindi le fazioni berbere – dicono anch’essi di non
accettare appieno l’autorità del Consiglio. Questo, al suo interno, è profondamente
diviso e quindi la situazione è veramente caotica.
D. – Il rischio somalo
di cui parla per il futuro della Libia in cosa consiste?
R. – Il rischio
somalo, purtroppo, è quello di una guerra protratta fra diverse fazioni. Quelle fazioni
e tribù che, ancora oggi, appoggiano il colonnello o, piuttosto, non tollerano di
vedere il futuro della Libia monopolizzato ed egemonizzato dai ribelli di Bengasi
o berberi o quelli di Misurata. Parlo soprattutto delle tribù di Sirte, di alcune
tribù del sud, parlo di zone dove il colonnello continua ad avere un appoggio ed una
certa popolarità, zone in cui i ribelli hanno certamente delle difficoltà ad avanzare
e a concretizzare la propria egemonia.
D. – La sorte di Gheddafi è ancora
un punto interrogativo. Ritieni che questo scenario sia stato “preparato” dall’egocentrismo
dello stesso colonnello?
R. – Io non penso che Gheddafi sia più in grado
di organizzare o controllare alcunché: è politicamente morto dallo scorso marzo come
leader. Però gode ancora di appoggi, ha molta disponibilità finanziaria con cui poter
pagare chi combatte per lui ed ha alle proprie dipendenze un personale militare più
abile e più capace di quanto possano essere i ribelli. Quello che noto è soprattutto
un tragico parallelismo tra la sua vicenda e quella di Saddam Hussein. Saddam era
considerato il nemico numero uno dell’Occidente, il male peggiore per l’Iraq, ed oggi
viene invece rimpianto da molti iracheni, i quali affermano che in fondo, ai suoi
tempi, in alcune zone si stava perfino meglio.
D. – Onu, Nato, Lega
Araba, Unione Africana e Francia: questi i nomi che si sono fatti in queste ore sul
dopo-Gheddafi. A livello internazionale, chi potrà fare qualcosa per la Libia?
R.
– Le guerre vengono decise sempre da chi le vince. Qui bisognerà vedere chi vincerà
la guerra. Se la Nato riuscirà a vincere o se, invece, trasformerà questa vittoria
in una catastrofe per una serie di scelte mal prese e mal concepite. Purtroppo vedo,
ancora una volta, un tragico ripetersi di errori delle ipocrisie che ci sono state
all’inizio di questo conflitto. Io non vorrei che quest’ennesima ipocrisia della Nato,
che attende ad attribuire ai ribelli forze e capacità che non hanno e a dipingere
una situazione inesistente – com’era inesistente all’inizio del conflitto l’imminente
caduta di Gheddafi -, determini mali ancora peggiori ed ulteriori implicazioni negative
per il futuro libico. (vv)