Prosegue incessante l’avanzata dei ribelli su Tripoli: assediato nelle ultime ore
il compound di Gheddafi a Bab al Aziziya, già bombardato da aerei della Nato.Sul terreno
feroci combattimenti, i lealisti sono in ritirata verso Sirte e Al Jafra e si registrano
defezioni tra le fila del Colonnello, ma di lui nessuna traccia. Secondo il figlio
Saif Al Islam il rais si troverebbe ancora a Tripoli. Una conferma arriva anche da
un funzionario russo al quale in una telefonata Gheddafi avrebbe espresso la volontà
di combattere fino alla fine. Il servizio è di Paolo Ondarza:
E
la situazione in Libia è stata protagonista anche al "Meeting di Rimini", dove è stato
ospite Gian Micalessin, inviato del quotidiano "Il Giornale" che recentemente è stato
a Bengasi dove ha girato un reportage tra i ragazzi protagonisti della rivoluzione.
Gabriella Ceraso gli ha chiesto quali possono essere gli scenari futuri nel Paese
alla luce degli ultimi sviluppi:
R. – Purtroppo
non faccio previsioni... Considero ed analizzo quello che è successo in questi sei
mesi e quello che sta succedendo adesso. Vedo un Consiglio nazionale di transizione
incapace di esercitare ed affermare la propria autorità su tutti i gruppi armati che
stanno avanzando verso Tripoli. I ribelli di Misurata dicono di non accettare l’autorità
dei ribelli di Bengasi e del Consiglio di transizione. I ribelli delle montagne occidentali,
ai confini con la Tunisia – e quindi le fazioni berbere – dicono anch’essi di non
accettare appieno l’autorità del Consiglio. Questo, al suo interno, è profondamente
diviso e quindi la situazione è veramente caotica.
D. – Il rischio somalo di
cui parla per il futuro della Libia in cosa consiste?
R. – Il rischio somalo,
purtroppo, è quello di una guerra protratta fra diverse fazioni. Quelle fazioni e
tribù che, ancora oggi, appoggiano il colonnello o, piuttosto, non tollerano di vedere
il futuro della Libia monopolizzato ed egemonizzato dai ribelli di Bengasi o berberi
o quelli di Misurata. Parlo soprattutto delle tribù di Sirte, di alcune tribù del
sud, parlo di zone dove il colonnello continua ad avere un appoggio ed una certa popolarità,
zone in cui i ribelli hanno certamente delle difficoltà ad avanzare e a concretizzare
la propria egemonia.
D. – La sorte di Gheddafi è ancora un punto interrogativo.
Ritieni che questo scenario sia stato “preparato” dall’egocentrismo dello stesso colonnello?
R.
– Io non penso che Gheddafi sia più in grado di organizzare o controllare alcunché:
è politicamente morto dallo scorso marzo come leader. Però gode ancora di appoggi,
ha molta disponibilità finanziaria con cui poter pagare chi combatte per lui ed ha
alle proprie dipendenze un personale militare più abile e più capace di quanto possano
essere i ribelli. Quello che noto è soprattutto un tragico parallelismo tra la sua
vicenda e quella di Saddam Hussein. Saddam era considerato il nemico numero uno dell’Occidente,
il male peggiore per l’Iraq, ed oggi viene invece rimpianto da molti iracheni, i quali
affermano che in fondo, ai suoi tempi, in alcune zone si stava perfino meglio.
D.
– Onu, Nato, Lega Araba, Unione Africana e Francia: questi i nomi che si sono fatti
in queste ore sul dopo-Gheddafi. A livello internazionale, chi potrà fare qualcosa
per la Libia?
R. – Le guerre vengono decise sempre da chi le vince. Qui bisognerà
vedere chi vincerà la guerra. Se la Nato riuscirà a vincere o se, invece, trasformerà
questa vittoria in una catastrofe per una serie di scelte mal prese e mal concepite.
Purtroppo vedo, ancora una volta, un tragico ripetersi di errori delle ipocrisie che
ci sono state all’inizio di questo conflitto. Io non vorrei che quest’ennesima ipocrisia
della Nato, che attende ad attribuire ai ribelli forze e capacità che non hanno e
a dipingere una situazione inesistente – com’era inesistente all’inizio del conflitto
l’imminente caduta di Gheddafi -, determini mali ancora peggiori ed ulteriori implicazioni
negative per il futuro libico. (vv)