Giornata per ricordare la tratta degli schiavi, mentre oggi prosperano nuove forme
di schiavitù
Il traffico di esseri umani è una realtà che tocca ancora oggi milioni di persone
e frutta ingentissimi guadagni. Da qui l’attualità dell’odierna Giornata indetta dall’Onu
e dall’Unesco, in ricordo del commercio degli schiavi e della sua abolizione. Ricorrenza
in memoria dell’insurrezione, scoppiata nella notte tra il 22 e il 23 agosto del 1791
sull’isola di Santo Domingo e che diede il via al bando della tratta transatlantica,
una pagina buia nella storia dell’umanità. Il servizio di Roberta Gisotti:
Ricordare
per non ripetere gli errori del passato. Ma le buone intenzioni non bastano. Se la
Carta universale dei diritti dell’uomo del 1948 vieta espressamente la tratta degli
esseri umani, questa turpe attività è fonte tutt’oggi di ingentissimi guadagni per
gruppi criminosi transnazionali, con un giro d’affari annuo calcolato in oltre 30
miliardi. Due milioni ogni anno, secondo stime Onu, le vittime della moderna schiavitù,
prostituite, costrette a mendicare, avviate ai lavori forzati. Tra queste numerosi
minori, sfruttati per attività illegali, ma soprattutto a scopo sessuale: solo in
Italia l’associazione Save the children denuncia non meno di 1600 piccoli schiavi
di strada, senza contare quelli "venduti" in appartamenti. Ma quanta consapevolezza
sulla schiavitù di ieri e indifferenza su quella di oggi? Al nostro microfono il presidente
dell’Unesco in Italia, il prof. Giovanni Puglisi:
R. -
La consapevolezza ormai credo che sia abbastanza alta, anche perché la globalizzazione
e i mezzi di comunicazione hanno reso questa vicenda – che chiamiamo sinteticamente
della schiavitù – un fenomeno di coscienza culturale di massa. Anche se, purtroppo,
abbiamo le culture o le cattive culture di ritorno: non c’è più la tratta degli schiavi
fra i continenti, ma ci sono delle altre forme di schiavitù che spesso – prescindendo
anche dal colore della pelle – finiscono con l’essere ghettizzanti per molte
persone. Quindi, richiamare l’attenzione sul problema non è mai eccessivo: le forme
di schiavitù spesso si modificano, ma continuano.
D. - Eppure, si è
parlato poco o niente, anche sui media, dell’anno 2011 dedicato ai popoli di discendenza
africana. Quest’anno, inoltre, ricorrono i 10 anni della Dichiarazione di Durban contro
il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza. Forse la crisi economica ha assorbito
in pieno l’attenzione della comunità internazionale: ma è giusto rimuovere questi
temi?
R. - Non è giusto. Il mondo è oggi troppo distratto da una cultura
del relativismo, da una cultura dell’arricchimento facile, del depredare l’un l’altro.
Il mondo dovrebbe, invece, rendersi conto che dobbiamo vivere ognuno a nostra misura,
con le nostre risorse o con ciò che riusciamo a produrre: un terzo dell’umanità non
può depredare i due terzi dell’umanità. Credo che si continueranno a proclamare giornate,
a lanciare appelli, a fare grandi proclami, ma sostanzialmente le cose non cambieranno.
(mg)