L'inviato Onu in Myanmar per verificare il rispetto dei diritti umani nel Paese
Durerà cinque giorni la visita, iniziata ieri, in Myanmar dell’inviato speciale delle
Nazioni Unite, Tomàs Ojea Quintana, incaricato di verificare il rispetto dei diritti
umani da parte del nuovo governo civile del Paese. Sarà la prima visita dal marzo
2010, quando il regime protestò per la richiesta dello stesso Quintana di un’inchiesta
Onu nell'ex Birmania. Di due giorni fa invece il primo incontro tra la leader dell’opposizione
Aung San Suu Kyi e il nuovo capo di Stato Thein Wein. Un incontro definito storico
e incoraggiante dalla stessa Suu Kyi. Sono, questi, da considerarsi segnali di una
possibile svolta in un Paese ritenuto uno dei regimi più duri al mondo? Francesca
Sabatinelli lo ha chiesto a Cecilia Brighi, responsabile Asia della Cisl:
R. - Sono
sicuramente segnali positivi. Io sarei molto cauta nel dire che rappresentano passi
in avanti. Abbiamo già visto nel passato che, anche durante gli arresti domiciliari
della leader birmana Aung San Suu Kyi, ci sono stati incontri tra il ministro per
le Relazioni - che poi era il ministro del Lavoro - e Aung San Suu kyi ma in realtà
non c’è stato un cambiamento strutturale nella condizione del processo democratico
nel Paese. C’è una situazione molto complessa attualmente in Birmania: c’è uno scontro
tra il governo e l’esercito che si è visto scippare il ruolo di potere nel Paese dopo
le elezioni; ci sono scontri in atto con i rappresentanti delle nazionalità etniche,
conflitti armati con anche violazioni di diritti umani pesantissime e infine c’è una
situazione economica molto complessa. Forse il presidente ha voluto lanciare un messaggio
di apertura anche in vista dell’Assemblea nazionale delle Nazioni Unite.
D.
- Quando l'inviato delle Nazioni Unite, Quintana, rientrerà al Palazzo di Vetro dovrà
relazionare. Che cosa succederà a suo giudizio all’Assemblea generale dell’Onu?
R.
- Ad oggi non è cambiato nulla dal punto di vista della violazione dei diritti umani.
Ci sono ancora più di 2100 detenuti politici in carcere. Si era parlato di un’amnistia
dopo le elezioni, le elezioni sono state a novembre e non c’è stata nessuna amnistia.
Inoltre, continuano le violazioni dei diritti umani; continua il lavoro forzato, noi
lo abbiamo denunciato anche all’assemblea di giugno dell’Organizzazione Internazionale
del Lavoro e ancora una volta il nuovo governo birmano è stato condannato; ci sono
stupri, esecuzioni extragiudiziali … Noi abbiamo chiesto come Cisl, ma anche come
sindacato mondiale insieme ad altri Paesi - Stati Uniti Gran Bretagna Australia Canada
-, l’apertura di una commissione di indagine sui crimini di guerra contro l’umanità.
Auspichiamo che il governo italiano e l’Unione europea appoggino pienamente la richiesta
di questa indagine da parte delle Nazioni Unite e speriamo che all’Assemblea generale
venga approvata questa commissione, perché è importante definire le responsabilità
delle violazioni dei crimini di guerra e contro l’umanità perpetrate fino ad oggi
nel Paese.
D. - Recentemente la Birmania si è anche rivolta al Fondo
Monetario Internazionale per cercare di avviare una riforma economica. La grave crisi
potrebbe in qualche modo dare la svolta?
R. - Il Paese è con l’acqua
alla gola perché manca un sistema democratico e una politica macroeconomica trasparente.
E’ estremamente corrotto, quindi bisognerebbe eliminare questi elementi strutturali
presenti nel Paese. Manca anche la libertà di organizzazione sindacale. Il governo
si è confrontato con gli imprenditori, anche con Aung San Suu Kyi, però noi chiediamo,
come ha chiesto il sindacato birmano clandestino, che il sindacato sia riconosciuto
e che possa partecipare al processo di trasformazione politica ed economica del Paese
perché le condizioni di lavoro in Birmania sono condizioni assolutamente inaccettabili,
peggiori di quelle che abbiamo visto nelle zone franche cinesi o vietnamite. I primi
segni di cambiamento che il governo deve dare sono: la liberazione dei detenuti politici,
il cessate il fuoco nelle zone degli Stati etnici e l’apertura di un dialogo concreto
con tutte le forze democratiche ed etniche. (bf)