Il Papa all'Istituto San Josè: una società che non riesce ad accettare i sofferenti
è una società crudele e disumana
Il Papa, prima di recarsi alla Veglia, ha visitato La Fondazione “Istituto S. José”,
è stato accolto dal Superiore Fr. Rafael M Martinez e i dirigenti dell’istituto, presenti
circa 200 bambini disabili. Dopo un canto di accoglienza, il caloroso benvenuto del
Cardinale Antonio Maria Rouco Varela, ed il saluto di un giovane, il discorso del
Papa. Poi la preghiera di benedizione, l’offerta di alcuni doni ed il saluto personale
di Benedetto XVI a 10 bambini disabili. Quindi la firma del Libro d’Oro della Fondazione.
"La misura dell’umanità - ha detto il Papa - si determina essenzialmente nel rapporto
con la sofferenza e col sofferente (…) Una società che non riesce ad accettare i sofferenti
e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza
venga condivisa e portata anche interiormente, è una società crudele e disumana".
La
struttura è amministrata dall’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli),
fu costituita nel 1899 dal Marchese di Vallejo e da San Benedetto Menni, religioso
dell’Ordine. La Fondazione presta assistenza specializzata a persone affette da handicap
fisici o mentali, in particolare epilettici. Il grande complesso, dichiarato di interesse
storico, comprende dieci padiglioni con circa 400 posti letto e si avvale del servizio
di circa 300 operatori sanitari.
Di seguito il discorso integrale
del Papa
Signor Cardinale Arcivescovo di Madrid, Venerati
fratelli nell’Episcopato, Cari Sacerdoti e Religiosi dell’Ordine Ospedaliero
di San Giovanni di Dio, Distinte Autorità, Cari giovani, familiari
e volontari qui presenti,
grazie di cuore per l’affettuoso saluto e
la cordiale accoglienza che mi avete riservato. Questa notte, prima della
Veglia di preghiera con i giovani di tutto il mondo che sono venuti a Madrid per partecipare
a questa Giornata Mondiale della Gioventù, abbiamo l’occasione di trascorrere alcuni
momenti insieme e così potervi manifestare la vicinanza e l’apprezzamento del Papa
per ciascuno di voi, per le vostre famiglie e per tutte le persone che vi accompagnano
e vi assistono in questa Fondazione dell’Istituto San Giuseppe.
La gioventù,
lo abbiamo ricordato altre volte, è l’età nella quale la vita si rivela alla persona
con tutta la ricchezza e pienezza delle sue potenzialità, spingendo alla ricerca di
mete più alte che diano senso alla vita stessa. Per questo, quando il dolore appare
nell’orizzonte di una vita giovane, rimaniamo sconcertati e forse ci chiediamo: può
continuare ad essere grande la vita quando irrompe in essa la sofferenza? A tale riguardo,
nella mia enciclica sulla speranza cristiana, dicevo: «La misura dell’umanità si determina
essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente (…) Una società che
non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione
a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente, è una società
crudele e disumana» (Spe salvi, 38). Queste parole riflettono una lunga tradizione
di umanità che scaturisce dall’offerta che Cristo fa di se stesso sulla Croce per
noi e per la nostra redenzione. Gesù e, seguendo le sue orme, la sua Madre Dolorosa
e i santi sono i testimoni che ci insegnano a vivere il dramma della sofferenza per
il nostro bene e la salvezza del mondo.
Questi testimoni ci parlano,
prima di tutto, della dignità di ogni vita umana, creata a immagine di Dio. Nessuna
afflizione è capace di cancellare questa impronta divina incisa nel più profondo dell’uomo.
E non solo: dal momento in cui il Figlio di Dio volle abbracciare liberamente il dolore
e la morte, l’immagine di Dio si offre a noi anche nel volto di chi soffre. Questa
speciale predilezione del Signore per colui che soffre ci porta a guardare l’altro
con occhi limpidi, per dargli, oltre alle cose esterne di cui ha bisogno, lo sguardo
amorevole di cui ha bisogno. Però questo è possibile realizzarlo solo come frutto
di un incontro personale con Cristo. Di ciò siate molto consapevoli voi, religiosi,
familiari, professionisti della salute e volontari che vivete e lavorate quotidianamente
con questi giovani. La vostra vita e dedizione proclamano la grandezza alla quale
è chiamato l’uomo: avere compassione e accompagnare per amore chi soffre, come ha
fatto Dio. E nella vostra felice professione risuonano anche le parole evangeliche:
«Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete
fatto a me» (Mt 25,40).
D’altro canto, voi siete testimoni anche del
bene immenso che rappresenta la vita di questi giovani per chi sta loro accanto e
per l’intera umanità. In modo misterioso ma molto reale, la sua presenza suscita nei
nostri cuori, frequentemente induriti, una tenerezza che ci apre alla salvezza. Certamente,
la vita di questi giovani cambia il cuore degli uomini e, per questo, siamo grati
al Signore per averli conosciuti.
Cari amici, la nostra società, nella
quale troppo spesso si pone in dubbio la dignità inestimabile della vita, di ogni
vita, necessita di voi: voi contribuite decisamente a edificare la civiltà dell’amore.
Ancora di più, siete protagonisti di questa civilizzazione. E come figli della Chiesa
offrite al Signore le vostre vite, con le sue pene e le sue gioie, collaborando con
Lui ed entrando così «a far parte in qualche modo del tesoro di compassione di cui
il genere umano ha bisogno» (Spe salvi, 40).
Con grande affetto, e
per intercessione di san Giuseppe, san Giovanni di Dio e san Benito Menni, vi affido
con tutto il cuore a Dio nostro Signore: che Egli sia la vostra forza e il vostro
premio. Sia segno del suo amore la Benedizione Apostolica che imparto a voi e a tutti
i vostri familiari e amici.