Primavera araba: chi gestisce la fase di transizione? Il commento di Salim Ghostine
Il mondo arabo, attraversato dalle rivolte della cosiddetta ‘primavera araba’, continua
ad essere in fermento. In questa cruciale fase, successiva anche a decennali governi
autoritari, Stati come Tunisia ed Egitto cercano di trovare risposte ai lati incompiuti
della rivoluzione. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con SalimGhostine,
giornalista libanese della nostra emittente:
R. – C’è
una fase di transizione, e qui incominciano i dubbi: da chi è gestita questa fase
transitoria? E’ una fase in cui non si è ancora strutturata bene l’alternativa politica,
perché in presenza di dittature che sono durate 30 o 40 anni, chiaramente la vita
politica è ormai ridotta a meri simboli nei partiti. Dunque bisogna reagire presto
ma soprattutto avere protagonisti che siano in grado di reagire bene e presto. In
Tunisia, per esempio, proprio ieri c’è stata una manifestazione non di giovani disoccupati,
ma di avvocati e magistrati che sostengono che la magistratura, chiamata a giudicare
le ingiustizie del passato regime, è tutta schierata e dunque chiedono una magistratura
libera. Ecco, dunque, che lo strumento per pulire la ferita ancora non c’è, per quanto
riguarda la Tunisia. Per quanto riguarda l’Egitto, c’è un altro tipo di problema:
Mubarak non c’è più. Ma chi sta guidando la fase transitoria? I militari. Qualche
analista, nei giornali arabi, dice che non è stata l’opinione pubblica a rovesciare
Mubarak, ma un “golpe di palazzo”, cioè i militari che per non perdere il controllo
della situazione avrebbero spodestato Mubarak ed ora stanno gestendo – loro – il “dopo”.
D.
– Vuoti da colmare, ferite ancora aperte, lati incompiuti … però, la “primavera araba”
sembra lasciare ancora irrisolta, tra le altre questioni, una cruciale, cioè il rapporto
tra Stato e religione: una relazione che si riflette anche in diversi ambiti, non
solo politici ma anche sociali e culturali?
R. – Culturali, per esempio:
siamo nel mese del Ramadan, del digiuno islamico. Questo è un periodo in cui i musulmani
restano a casa per via del gran caldo; dunque è la stagione della produzione televisiva
massima. Ebbene, c’è un serial televisivo prodotto da una casa cinematografica del
Qatar, che è intitolato “Al Hassan e Mu’awiyah”. Praticamente, racconta la fase cruciale
della spaccatura dell’Islam in due: sunniti e sciiti. Ebbene, quello che doveva essere
un semplice serial televisivo di intrattenimento – o di cultura – per i musulmani
digiunanti, osservanti, nelle loro case, è diventato un caso politico. I governi arabi
stanno intervenendo e addirittura il Parlamento a Baghdad, in Iraq, ha trovato modo
di riunirsi per dibattere di questo serial televisivo e per dichiarare che è vietato
trasmetterlo sui canali iracheni. Questo per dire che è praticamente impossibile estromettere
la religione dalla politica o dalla cultura nel mondo arabo di oggi.
D.
– Il mondo arabo di oggi sicuramente è in fermento. In particolare, le rivolte possono
rivelarsi anche il motore di un cambiamento della condizione della donna, sia all’interno
della famiglia, sia nella società, o permangono ancora delle resistenze, in questo
ambito?
R. – Possiamo parlare di fatti concreti. In Egitto si sono viste
molte ragazze che hanno manifestato; in Tunisia, la donna tunisina ha svolto un ruolo
di prima linea; in Libano, il Parlamento non è riuscito a eliminare una delle piaghe
delle società islamiche, e cioè il “delitto d’onore”: il Parlamento libanese sta discutendo
ancora e l’unica cosa che sono riusciti ad ottenere è l’eliminazione delle “attenuanti
generiche” per chi compie un delitto d’onore. Quindi, quello che vediamo in televisione
è un processo democratico, ma la democrazia non è semplicemente l’elezione: la democrazie
è un’evoluzione del costume, anche a livello sociale. (gf)