In Somalia è emergenza carestia ed istruzione: saccheggiati i convogli umanitari
Continua l’emergenza in Somalia, dove migliaia di persone sfollate cercano di sopravvivere
alla siccità che sta colpendo l’intero Corno d’Africa. Le Nazioni Unite, intanto,
hanno annunciato l’organizzazione di un incontro per tracciare una “road map” sul
futuro del Paese e per concordare un "piano di esigenze e priorità". Si registrano
ancora furti ai convogli umanitari. Ma come si è arrivati alla creazione di grandi
campi profughi ai confini della Somalia? Michele Raviart lo ha chiesto a Bruno
Geddo, rappresentante nel Paese dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per
i Rifugiati.
R. – Gli
shabab avevano tenuto le popolazioni nelle aree sotto il loro controllo – che sono
la maggior parte delle regioni della Somalia meridionale – senza permettere loro di
lasciare queste zone. A causa della siccità, questa situazione si è esacerbata e a
giugno gli shabab hanno invertito la loro politica e hanno permesso alle popolazioni
di cominciare a muoversi in modo massiccio verso il Kenya e l’Etiopia, e così abbiamo
avuto questo afflusso - dalla fine di giugno ai primi giorni di luglio - che è arrivato
a 1.500 persone al giorno a Dabbab, in Kenya, e che continua tutt’oggi.
D.
– Oltre al grande campo di Dabbab, in Kenya, ci sono decine di campi di sfollati in
tutta la Somalia…
R. – I campi, in Somalia, non sono istituzionalizzati.
I campi sono delle congregazioni spontanee di sfollati che si installano su un terreno
dove possono pagare un affitto al proprietario della terra e a partire dal quale possono
avere accesso ad un certo volume di assistenza. Naturalmente, questa è la situazione
al primo livello. Il secondo livello è quello che molte di queste persone non hanno
i mezzi per avere accesso ai servizi, cercano di trovare lavoro in città e possono
mendicare.
D. – Ma questa formazione spontanea dei campi profughi può
favorire delle violenze interne o anche delle difficoltà nel ricevere gli aiuti umanitari?
R.
– Certamente. Questo è un problema davvero molto grande poiché è proprio della cultura
somala: tutto ciò che viene importato nella terra somala appartiene ai somali, anche
l’assistenza umanitaria. I somali, quindi, hanno diritto ad appropriarsene. Il secondo
fattore è che gli sfollati sono considerati merce di scambio: portano con loro l’assistenza
umanitaria, portano un bottino che diviene automaticamente la prerogativa del clan
di maggioranza della zona in cui si trovano.
D. – Tra i campi spontanei
e quelli organizzati quali sono i più difficili da gestire per quanto riguarda l’aspetto
degli aiuti?
R. – Su quest’aspetto devo dire che c’è un dibattito in
corso alquanto difficile tra le agenzie umanitarie. Se si mettono a confronto le due
situazioni, è probabilmente più gestibile una situazione di congregazioni spontanee
di sfollati in cui noi andiamo a prestare servizi sulla base del bisogno che non un
campo organizzato di sfollati, di dimensioni molto più grandi, in cui tutti i servizi
vengono predisposti a monte, dove però ci sono comunque interessi. Interessi che non
spariscono perché si tratta semplicemente di un campo organizzato, ma diventano anche
molto più organizzati per sfruttare quello che loro considerano un diritto naturale.
D.
– Oggi è arrivata la notizia che un carico di aiuti dell’Onu è stato rubato. Cosa
si può fare, quindi, per far sì che le agenzie possano aiutare effettivamente i somali
in sicurezza?
R. – Le distribuzioni di assistenza e soprattutto dei
viveri – che sono quelli più attraenti, perché poi vengono immediatamente rivenduti
sul mercato locale – sono molto ambite dalle milizie claniche. Mettendo insieme Amisom
con i capi di sicurezza distrettuali e i capi di polizia, si dovrebbe riuscire a garantire
una sicurezza d’accesso e di distribuzione per evitare che i viveri ed i pacchetti
di assistenza possano essere oggetto di saccheggio da parte delle milizie. (vv)
Nel
Corno d'Africa è sempre più grave anche l’emergenza istruzione
Sono
oltre 1.800.000 bambini (5/17anni) che in Somalia non vanno a scuola ma questo numero
potrebbe crescere drammaticamente. Ci sono più di 200.000 bambini in età scolastica
che con le famiglie, a causa della carestia, hanno attraversato il confine. Questo
dato – si legge nel comunicato dell’Unicef - rischia di far precipitare ulteriormente
il già basso tasso di frequenza scolastica (30%) della Somalia. A questo c’è da sommare
un rischioso aumento di domanda di servizi educativi nelle aree in cui si stanno stanziando
gli sfollati, come Mogadiscio. Ma mancano strutture e insegnanti. I risultati indicano
che le possibilità di fornire un pasto a scuola e materiali didattici, incentivi ai
docenti e la presenza di spazi di apprendimento sono le priorità per fare in modo
che i bambini possano accedere a opportunità di apprendimento. "L'istruzione è una
componente critica di qualsiasi risposta di emergenza", ha spiegato Rozanne Chorlton,
Rappresentante Unicef in Somalia. "Le scuole offrono ai bambini un luogo protetto
dove imparare e accedere, se necessario, alle cure sanitarie e ad altri servizi essenziali”.
“Offrire opportunità di apprendimento in un ambiente sicuro è fondamentale sia per
la sopravvivenza e lo sviluppo di un bambino che per la stabilità, nel lungo periodo,
e la crescita del Paese ". “E’ urgente e necessario – ricorda l’Unicef - stabilire
spazi temporanei di apprendimento nei campi degli sfollati, così come definire ulteriori
aree di apprendimento nelle comunità di accoglienza in cui inserire i nuovi studenti
emigrati”. E’ inoltre indispensabile fornire acqua e servizi igienici, kit scolastici
e materiali ricreativi a 435.000 bambini, fornire incentivi per 5.750 docenti e rafforzare
il coinvolgimento dei Comitati di Educazione della Comunità. Sono in corso anche piani
per fornire buoni pasto attraverso le scuole di cui potranno beneficiare gli studenti
e le loro famiglie. (A.L.)