Attentati in Iraq. Mons. Sako: rischio di guerra civile, non lasciare il Paese solo
In Iraq, almeno 66 persone sono morte in seguito ad una nuova ondata di attentati
compiuti, ieri, in diverse città del Paese. L’attacco più sanguinoso, con un bilancio
di oltre 40 vittime, è avvenuto in un mercato nella città meridionale di Kut. A Najaf
un kamikaze si è fatto esplodere vicino ad una stazione di polizia e nel nord del
Paese, a Tikrit, è stato assaltato un edificio governativo. A Kirkuk, una chiesa siro
ortodossa è stata teatro di un duplice attentato che ha provocato ingenti danni. Sulla
situazione nel Paese, si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo
di Kirkuk, mons. Louis Sako:
R. - In diverse
città irachene ci sono state delle esplosioni, decine di persone sono morte e gli
attentati sono avvenuti durante il Ramadan. Doveva essere un mese di pace e conversione,
invece tutto è cambiato, tutto è stato politicizzato. E’ uno scandalo sia per i cristiani
sia per i musulmani.
D. – Intanto gli Stati Uniti sono pronti a prendere
in esame ogni richiesta, da parte delle autorità irachene, di prolungare la presenza
delle truppe americane nel Paese oltre il 2011. E’ necessario che le truppe americane
restino in questo Iraq così drammaticamente lacerato dalle violenze?
R.
- Ci sono varie ragioni, come ad esempio il controllo dei confini. Ora ci sono problemi
in Siria, in Giordania e nei Paesi vicini. Penso che la polizia irachena e l’esercito
non siano all’altezza di proteggere le frontiere. All’interno del Paese, poi, avvengono
questi attacchi criminali e la gente, ovviamente, ha paura. Abbiamo paura di una guerra
civile, temiamo che l’Iraq venga di nuovo diviso.
D. - Si teme, dunque,
lo scoppio di una guerra civile. Perché la situazione sembra peggiorare?
R.
- Ci sono delle forze, dei gruppi regionali – anche iracheni – che non vogliono la
sicurezza e la stabilità. Hanno la loro agenda ed il governo non è ben preparato a
fronteggiare questa situazione. Il governo sta cercando di fare qualcosa ma non ha
i mezzi per controllare, per dare una certa sicurezza sia nelle città sia all’intero
Paese.
D. - L’Iraq, quindi, non può essere assolutamente lasciato solo
…
R. - E’ pericoloso. Bisogna trovare un’alternativa. Se nel governo
ci sono dei gruppi che non vogliono la presenza americana si deve trovare un’altra
forza, un altro modo per aiutare gli iracheni a vivere in sicurezza e in pace.
D.
- E i cristiani, in Iraq, sono sempre più bersaglio del fondamentalismo …
R.
- Ieri ad esempio, a Kirkuk, è stata attaccata una chiesa siro-ortodossa – la Chiesa
di Sant’Efrem – ed è stata completamente distrutta. Proviamo molta ansia, perché non
sappiamo chi si nasconda dietro questi attacchi. Non sappiamo se sia Al Qaeda o se
siano altri gruppi. E non sappiamo perche questi attacchi avvengano. Non c’è alcuna
ragione di attaccare una chiesa: i cristiani sono una minoranza, non sono un pericolo
per nessuno. Noi siamo preoccupati, è una situazione davvero terribile.
D.
- Una situazione terribile in cui, però, la speranza viene affidata alle nuove generazioni.
I giovani iracheni come vedono, oggi, l’apertura della Gmg a Madrid?
R.
- Da Kirkuk è partito un gruppo di 20 giovani insieme con due sacerdoti, ma sono partite
persone anche da Baghdad, Mossul e da altre città irachene. Per noi essere lì significa
essere in comunione con la Chiesa universale. C’è questa speranza, ma c’è anche questa
paura per il futuro. Abbiamo la stessa fede e dunque essere lì, in Spagna, vuol dire
essere presenti anche in Iraq. Forse, in Occidente, si pensa sempre all’aspetto economico,
ma per noi c’è qualcosa di più importante: la solidarietà umana, morale, spirituale.
(vv)