Somalia: attacco agli aiuti umanitari. Mons. Bertin: tregua di tre mesi per portare
cibo ai civili
In una Somalia devastata dalla siccità e in piena crisi umanitaria, la situazione
politica sembra essere ad una probabile svolta. I miliziani islamisti di Al-Shabaab,
hanno abbandonato questa notte le loro postazioni a Mogadiscio. Si spera così che
il governo, sostenuto dalla comunità internazionale e protetto dalle forze dell’Unione
Africana, garantisca una maggiore efficienza nella problematica gestione degli aiuti
alimentari. Il serivizio di Michele Raviart.
“Mogadiscio
è stata liberata e presto lo sarà anche il resto del Paese”. Così il presidente somalo
Sharif Sheikg Ahmed ha commentato il ritiro delle milizie di Al-Shabaab dalla capitale.
Le aree abbandonate dai ribelli, che rimangono comunque forti nelle aree centrali
e meridionali del Paese, sono state subito occupate dalle truppe del governo,. L’iniziativa
di Al-Shabaab, minimizzata da un portavoce dei ribelli, che l’ha definita solo un
“cambiamento nella tattica militare”, potrebbe risultare decisiva per una migliore
gestione della crisi umanitaria, come spiega al microfono di Thomas Chabolle,
mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di
Mogadiscio
“L’iniziativa di per sé è positiva, perché almeno si può
venire in aiuto alle persone che sono sfollate e ai circa 100 mila che sarebbero arrivati
nella zona di Mogadiscio in questo ultimo anno. Bisognerebbe che tutti si mettessero
d’accordo, per almeno tre mesi, di non combattersi per poter rispondere al problema
della fame che porta la morte di molte persone”.
Ieri un convoglio di
aiuti alimentari del Programma Alimentare Mondiale è stato assaltato a sud di Mogadiscio,
da un gruppo armato non ancora identificato, causando almeno sette vittime. Una tragica
conferma delle difficoltà di portare aiuto alle oltre dieci milioni di persone vittime
della siccità nel Corno d’Africa. Vichi de Marchi, portavoce
italiana del World Food Program.
“La Somalia è effettivamente forse
oggi per noi il luogo più difficile dove operare proprio per numerosissime difficoltà.
Ci sono persone che dal sud e da altre zone colpite dalla siccità, zone anche agropastorali,
stanno andando verso Mogadiscio. Lì ricevono delle razioni soprattutto i bambini che
sono quelli più colpiti, i livelli di malnutrizione sono altissimi, anche del 30%
fra i bambini al di sotto dei cinque anni. Poi, c’è il problema dei rifugiati di chi
dalla Somalia ad esempio va in Kenia e va in Etiopia e lì, sono campi che stanno letteralmente
scoppiando per il numero di persone che ospitano”.