Yemen: scontri tra esercito e tribù fedeli all'opposizione
In Yemen continuano gli scontri tra esercito e tribù fedeli all’opposizione a sei
mesi dall’inizio delle proteste conto il presidente Ali Abdullah Saleh, e a due mesi
dal suo ricovero in Arabia Saudita dopo un attacco al suo palazzo. Davide Maggiore
ha chiesto a Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali,
di tracciare un quadro della situazione sul campo:
R. - Sono
in corso diversi tipi di crisi, in Yemen. C’è una rivolta di province meridionali:
il vice-presidente ha affermato che hanno perso il controllo di cinque province che,
tradizionalmente, si oppongono al governo di Sana’a. Ci sono problemi anche nel Nord,
con alcune tribù che sono in rivolta contro Saleh. Inoltre, c’è il problema di Al
Qaeda nella penisola araba.
D. - Chi ha, oggi, il potere effettivo nelle
istituzioni?
R. - Il presidente - che attualmente è in Arabia Saudita
e che dovrebbe rientrare - probabilmente ha ancora una fetta importante del potere.
C’è, però, anche suo figlio Ahmed, che forse non è del tutto d’accordo con lui. E
c’è la potente tribù degli Hamar, che comprende il generale Mohsen, il capo delle
Forze Speciali, che si è recentemente dimesso, in critica con il presidente Saleh
e che controlla una parte della stessa capitale, Sana’a.
D. - Saleh,
prima di abbandonare il Paese, a giugno, aveva prospettato uno scenario simile a quello
somalo. E’ un timore che si è concretizzato?
R. - Non ancora, però ci
sono moltissimi profughi interni - più di 150 mila - e situazioni di non controllo
del territorio da parte del governo, in particolare in queste cinque province meridionali.
E’ una situazione non come quella somala ma di forte fragilità.
D. -
Che ruolo gioca Al Qaeda in questo scenario?
R. - Al Qaeda cerca di
infiltrarsi in tutto questo. Secondo molti analisti sta cercando di costruirsi una
nuova base, avendo persa quella in Afghanistan ed essendo meno sicura quella in Pakistan.
Oltretutto, probabilmente Al Qaeda, nello Yemen, è indipendente ed autonoma dalla
versione pachistana o afghana di Al Qaeda. Evidentemente il suo obiettivo è quello
di controllare, almeno in parte, alcune delle grandi strade di pellegrinaggio che
vanno alla Mecca e, in questo modo, cercare di indebolire il regime saudita, che in
questo caso è il suo vero nemico.
D. - Ci sono reali margini d’intervento
o di mediazione per la comunità internazionale?
R. - Il tentativo che
stanno cercando di fare sia i Paesi del Golfo sia gli Stati Uniti è quello di arrivare
ad una sorta di coalizione, diminuendo i poteri dittatoriali che si era preso Saleh
e cercando di ricostituire una sorta di federazione delle tribù principali che ricompatti
quantomeno il governo del Nord. Margini di mediazione sembrano esserci. Il problema
è vedere quanto poi sia possibile mettere veramente insieme tutte le principali fazioni
dopo anni di dura lotta interna e di forti contrasti. Probabilmente tutto questo richiederebbe
un cambiamento al vertice del regime, ma finora non sembra che Saleh sia disposto
a farlo. (vv)