Morte bimbo Rom. Il cardinale Vallini: sconfitta per tutti, aumentare impegno e solidarietà
La Chiesa di Roma si stringe intorno alla famiglia del bimbo Rom di 11 mesi morto
folgorato nel container della nonna a causa di una dispersione di corrente. Il tragico
incidente, avvenuto nel campo nomadi autorizzato di Tor de' Cenci, ha riaperto il
dibattito sulle condizioni dei migranti stanziali. Per il cardinale vicario Agostino
Vallini è "una tragedia frutto di degrado ed emarginazione", una "sconfitta per tutti"
che ci ricorda di aumentare impegno e solidarietà per superare "così gravi emergenze".
Il sindaco di Roma Alemanno ha assicurato completo sostegno alla famiglia e l’impegno
affinché il Piano Nomadi sia portato a termine al più presto. Al microfono di Massimiliano
Menichetti, il direttore della Caritas romana mons. Enrico Feroci.
R – Questa
morte ci colpisce per due motivi, perché è un bambino e poi perché i nostri operatori
conoscevano la famiglia, avendo accompagnato, portato il bambino dalla nonna materna
a Tor de’ Cenci, perché dovevano fare dei lavori di risistemazione nel loro container.
Vorremmo esprimere non solamente la nostra solidarietà, ma anche la nostra preghiera
e assicurare che saremo loro vicini anche successivamente.
D. – E’ una
tragedia che si poteva evitare?
R. – E’ difficile rispondere: un bambino
di 11 mesi che sembra abbia messo la mano sotto al frigo per cercare una pallina.
Anche quando un nostro bambino cade da un balcone, quando si mettono le mani, le dita
nella presa... Credo che bisognerebbe fare una cultura di prevenzione per gli incidenti,
aiutare a capire. Vorremmo che questi episodi non ci fossero più. Cercheremo di essere
vicini alle autorità pubbliche perché prendano in considerazione in maniera seria
la problematica dei nostri fratelli Rom.
D. – Secondo lei, per evitare
tragedie come queste è necessario che i Rom si trasferiscano in strutture diverse
e abbandonino, quindi lascino, la sistemazione nei campi?
R. - Ci sono
dei gradini da fare. Vivere in mezzo alle canne o ai canneti, sul bordo del fiume,
in baracche, in un degrado di quel tipo, non deve esistere assolutamente. Non possiamo
nemmeno ghettizzarli, metterli in ambienti come riserve, dove debbono stare perché
loro sono lì. Se noi rispettiamo la loro cultura dobbiamo per forza fare un passo
successivo: non è detto che debbano per forza vivere dentro roulotte o dentro container,
perché non è questa la loro cultura. Quindi, io credo che il punto finale dovrebbe
essere una casa accogliente dove le famiglie con bambini possano avere una loro cultura
e possano avere anche un loro domani.
D. – Quindi, di fatto, sta anche
dicendo che non basta dire “questo campo è autorizzato” bisogna far sì che si favoriscono
dei percorsi virtuosi dal punto di vista della legalità e dell’integrazione...
R.
– Certo! Per forza! Questo è doveroso, perché non possiamo metterli dentro ad un campo,
dicendo “adesso arrangiatevi e fate quello che volete”. E’ un dovere anche civile.
Bisogna assolutamente togliere i pregiudizi nei confronti della popolazione Rom, bisogna
saper entrare dentro il loro mondo e conoscere le persone. Non possiamo vivere nel
2011 in una situazione in cui alcune persone vengono discriminate, tenute al margine
e ai bordi della società. (ap)