Denuncia dell'arcidiocesi messicana di Jalapa: abusi e violenze contro chi emigra
negli Usa
L’arcidiocesi di Jalapa, nello Stato messicano di Veracruz, si fa interprete delle
sofferenze e delle necessità dei migranti che attraversano il territorio per raggiungere
gli Stati Uniti. In un comunicato scritto dal responsabile della pastorale per la
comunicazione sociale, padre José Juan Sánchez Jácome, viene manifestata «tristezza
e indignazione» per la serie di abusi, prepotenze e perfino omicidi commessi negli
ultimi tempi ai danni di persone colpevoli solo di lasciare i loro Paesi, del Centro
e Sud America, per cercare un futuro migliore. «La voce della società si è fatta subito
sentire per esigere dalle autorità — si legge nella nota ripresa dall’Osservatore
Romano — un intervento più deciso per frenare queste vessazioni e questi crimini compiuti
contro la gente più bisognosa e indifesa». In particolare rappresentanti della società
civile pretendono un’inchiesta approfondita per punire quei funzionari pubblici che
avrebbero facilitato il modus operandi delle organizzazioni che lucrano sfruttando
la situazione di disagio patita da molti migranti. Padre Sánchez Jácome, oltre alla
fine dei soprusi, chiede migliori condizioni di transito per i migranti e l’intervento
delle autorità messicane al fine di agevolare loro il cammino. Il responsabile dell’arcidiocesi
di Jalapa non manca di sottolineare lo spirito di ospitalità e generosità che caratterizza
i messicani, specialmente i cittadini dello Stato di Veracruz («popolo di buoni samaritani»),
che da molto tempo si sono organizzati per accogliere i migranti dal Centro e Sud
America. Padre Sánchez Jácome ricorda che la Chiesa cattolica ha istituito anni fa
una rete ospedaliera e di assistenza sociale attraverso le «Casas del migrante», soprattutto
nelle diocesi che sono rotta naturale della ferrovia che corre a nord del Messico.
Contemporaneamente, nell’ambito dei piani pastorali delle diocesi, ha preso corpo
la pastorale della mobilità umana (o pastorale del migrante) per venire incontro alle
necessità più immediate delle persone che bussano alle porte delle parrocchie, anche
grazie ai fedeli, resi coscienti e partecipi della spiritualità del buon samaritano.
«È stata veramente impressionante — osserva il sacerdote — la risposta della nostra
gente e il modo come ha appoggiato questi progetti». Si tratta del riconoscimento
della generosità di un popolo che, attraverso la Chiesa e le associazioni civili,
si è organizzato per rendere meno pesante la «croce» portata da questi individui,
un «calvario» aggravato dalla tristezza di aver lasciato le proprie famiglie e dall’incertezza
del domani, in termini «di sicurezza, di possibilità reale di giungere a destinazione
e di trovare un lavoro che consenta loro di realizzare il sogno e di offrire migliori
condizioni di vita ai propri familiari». Sánchez Jácome ricorda infine padre Alejandro
Solalinde Guerra, direttore dell’«Albergue Hermanos en el Camino», e altri leader
sociali per la loro vita dedicata alla cura e alla protezione dei migranti; un impegno
che ha portato molti mezzi di comunicazione a occuparsi sempre più spesso della questione.
Recentemente il Governo dello stato di Veracruz ha mostrato un’apertura davanti alle
denunce di padre Solalinde Guerra, considerata «importante» dall’arcidiocesi di Jalapa.
Quest’ultima ha sottolineato più volte la necessità di difendere l’opera del sacerdote,
la sua «completa dedizione a una causa che per noi rappresenta un segno dei tempi
perché si tratta di stare con chi meno ha, dalla parte dei migranti, dei più poveri,
della loro assoluta libertà di cercare una vita migliore».