2011-08-01 15:47:15

Condanna da Ue e Usa per le stragi in Siria: appello all’Onu e nuove sanzioni


Il giorno dopo il massacro in Siria, altre due vittime si sono registrate oggi nella città di Hama. Difficile definire il numero esatto dei morti di ieri, quando l’esercito ha sparato sulla folla: secondo Al Jazira si registrano 100 caduti ad Hama ed almeno 30 in località al sud e ad est del Paese. Secondo la Cnn il numero sarebbe inferiore. Si tratta comunque di un massacro: la Commissione europea annuncia imminenti nuove sanzioni e si avvicina il ricorso al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il servizio di Fausta Speranza:RealAudioMP3

Dopo l’Italia anche la Germania ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell'Onu che potrebbe tenersi già oggi. Dall’Unione Europea agli Stati Uniti decise le voci di condanna e l’ennesima richiesta alle autorità siriane a cessare le violenze contro i civili. Il presidente del Parlamento europeo chiede ad Assad di lasciare il potere, Obama chiede al mondo di isolarlo. Ieri i colpi dei carri armati si sono abbattuti su Hama la città simbolo della protesta, che si trova 210 chilometri a nord di Damasco, con un ritmo di quattro al minuto. I militari hanno sparato con le mitragliatrici pesanti contro la gente, travolgendo le barricate erette dagli abitanti. Dall’alba di oggi, poi, secondo una tattica tipica delle operazioni di repressione sono state tagliate acqua ed elettricità nei quartieri centrali. Secondo la Lega siriana dei diritti dell'uomo, in altre città come Daraa, altra protagonista delle manifestazioni di marzo, Harasta, alla periferia di Damasco, Deir Ezzor, a est della Siria, decine di persone sono rimaste uccise da cecchini militari o colpite da dispositivi esplosivi riempiti di chiodi. Da parte sua, il presidente Assad è intervenuto per congratularsi con le Forze armate in occasione del 66.mo anniversario di fondazione: in un discorso pubblicato sulla rivista delle Forze armate e citato dall'agenzia ufficiale Sana, Assad ha salutato ogni soldato dell’esercito che – ha detto - difende i diritti dei siriani di fronte a piani aggressivi.

Della sofferenza della popolazione siriana in questo tragico momento ci parla il gesuita padre Paolo Dall’Oglio, raggiunto telefonicamente da Luca Collodi nel Monastero di Deir Mar Musa nel deserto siriano:RealAudioMP3

R. – C’è un’immensa sofferenza da parte di tutti perché l’uso della violenza è una tragedia per chi la subisce e per chi se ne assume la responsabilità morale. Siamo in una profonda angoscia per il futuro del Paese nel momento in cui in questo primo giorno di Ramadan vorremmo unire i nostri desideri, le nostre energie spirituali e le nostre speranze per desiderare qualcosa d’altro.

D. – Si può paragonare questo momento della storia politica e sociale siriana alla cosiddetta “primavera araba” che ha interessato altri Paesi dell’area?

R. – Bè, la primavera araba è finita: siamo in una calda estate. Chi è riuscito a compiere questa mutazione in poche settimane ha vinto alla tombola; i Paesi che hanno una complessità sociale-culturale-religiosa come la Siria e lo Yemen e per altri motivi la Libia, rimangono in mezzo al guado e diventa un 'parto' strozzato …

D. – In questa rivolta della società siriana, si può parlare anche di una questione religiosa o no?

R. – La società siriana è una società fortemente caratterizzata dalle appartenenze religiose, etniche e comunitarie. Quindi i siriani sono molto attaccati alla loro unità nazionale che presuppone una capacità di trascendere le appartenenze comunitarie e quindi veramente di fondare l’unità nazionale su un sentimento di comunità di destino, di cultura comune, di storia comune. Io certamente credo nella Siria: non siamo nella situazione sudanese, qui, dove per tutta una serie di motivi è opportuno che una parte del Paese si costituisca come realtà autonoma e indipendente. La Siria è un Paese che non va diviso perché diviso muore. E’ un Paese che ha anche un ideale di unità araba: non si capisce perché dovrebbe diventare una serie di cantoni fragilizzati, nei quali poi – tra l’altro – i cristiani diventerebbero una minoranza così insignificante ed assoggettata ad una logica comunitaria, il cui destino si evolverebbe come quello degli iracheni. Senza poi parlare dell’immane tragedia di guerra civile che bisognerebbe attraversare per arrivare a questo 'disastro stabile'! (gf)







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