Condanna da Ue e Usa per le stragi in Siria: appello all’Onu e nuove sanzioni
Il giorno dopo il massacro in Siria, altre due vittime si sono registrate oggi nella
città di Hama. Difficile definire il numero esatto dei morti di ieri, quando l’esercito
ha sparato sulla folla: secondo Al Jazira si registrano 100 caduti ad Hama ed almeno
30 in località al sud e ad est del Paese. Secondo la Cnn il numero sarebbe inferiore.
Si tratta comunque di un massacro: la Commissione europea annuncia imminenti nuove
sanzioni e si avvicina il ricorso al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il servizio
di Fausta Speranza:
Dopo l’Italia
anche la Germania ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell'Onu
che potrebbe tenersi già oggi. Dall’Unione Europea agli Stati Uniti decise le voci
di condanna e l’ennesima richiesta alle autorità siriane a cessare le violenze contro
i civili. Il presidente del Parlamento europeo chiede ad Assad di lasciare il potere,
Obama chiede al mondo di isolarlo. Ieri i colpi dei carri armati si sono abbattuti
su Hama la città simbolo della protesta, che si trova 210 chilometri a nord di Damasco,
con un ritmo di quattro al minuto. I militari hanno sparato con le mitragliatrici
pesanti contro la gente, travolgendo le barricate erette dagli abitanti. Dall’alba
di oggi, poi, secondo una tattica tipica delle operazioni di repressione sono state
tagliate acqua ed elettricità nei quartieri centrali. Secondo la Lega siriana dei
diritti dell'uomo, in altre città come Daraa, altra protagonista delle manifestazioni
di marzo, Harasta, alla periferia di Damasco, Deir Ezzor, a est della Siria, decine
di persone sono rimaste uccise da cecchini militari o colpite da dispositivi esplosivi
riempiti di chiodi. Da parte sua, il presidente Assad è intervenuto per congratularsi
con le Forze armate in occasione del 66.mo anniversario di fondazione: in un discorso
pubblicato sulla rivista delle Forze armate e citato dall'agenzia ufficiale Sana,
Assad ha salutato ogni soldato dell’esercito che – ha detto - difende i diritti dei
siriani di fronte a piani aggressivi.
Della sofferenza della popolazione
siriana in questo tragico momento ci parla il gesuita padrePaolo Dall’Oglio,
raggiunto telefonicamente da Luca Collodi nel Monastero di Deir Mar Musa nel
deserto siriano:
R. – C’è
un’immensa sofferenza da parte di tutti perché l’uso della violenza è una tragedia
per chi la subisce e per chi se ne assume la responsabilità morale. Siamo in una profonda
angoscia per il futuro del Paese nel momento in cui in questo primo giorno di Ramadan
vorremmo unire i nostri desideri, le nostre energie spirituali e le nostre speranze
per desiderare qualcosa d’altro.
D. – Si può paragonare questo momento
della storia politica e sociale siriana alla cosiddetta “primavera araba” che ha interessato
altri Paesi dell’area?
R. – Bè, la primavera araba è finita: siamo in
una calda estate. Chi è riuscito a compiere questa mutazione in poche settimane ha
vinto alla tombola; i Paesi che hanno una complessità sociale-culturale-religiosa
come la Siria e lo Yemen e per altri motivi la Libia, rimangono in mezzo al guado
e diventa un 'parto' strozzato …
D. – In questa rivolta della società
siriana, si può parlare anche di una questione religiosa o no?
R. –
La società siriana è una società fortemente caratterizzata dalle appartenenze religiose,
etniche e comunitarie. Quindi i siriani sono molto attaccati alla loro unità nazionale
che presuppone una capacità di trascendere le appartenenze comunitarie e quindi veramente
di fondare l’unità nazionale su un sentimento di comunità di destino, di cultura comune,
di storia comune. Io certamente credo nella Siria: non siamo nella situazione sudanese,
qui, dove per tutta una serie di motivi è opportuno che una parte del Paese si costituisca
come realtà autonoma e indipendente. La Siria è un Paese che non va diviso perché
diviso muore. E’ un Paese che ha anche un ideale di unità araba: non si capisce perché
dovrebbe diventare una serie di cantoni fragilizzati, nei quali poi – tra l’altro
– i cristiani diventerebbero una minoranza così insignificante ed assoggettata ad
una logica comunitaria, il cui destino si evolverebbe come quello degli iracheni.
Senza poi parlare dell’immane tragedia di guerra civile che bisognerebbe attraversare
per arrivare a questo 'disastro stabile'! (gf)