Emergenza carestia in Somalia: incessante affluenza di profughi
Come ricordato anche oggi dal Papa all’Angelus, è ancora emergenza in Somalia, dove
siccità e carestia stanno mettendo in ginocchio il Paese ormai da settimane colpendo
circa 12 milioni di persone. Incessante l’affluenza dei profughi, in fuga dalla fame
e dalla sete: circa 2.500 persone affluiscono ogni giorno nel solo Kenya. Immediato
il supporto fornito da diverse associazioni umanitarie sul posto: tra queste anche
la Caritas, che si sta mobilitando in collaborazione con le diocesi locali, fornendo
assistenza sanitaria, acqua e cibo. Fausta Speranza ha intervistato Paolo
Beccegato responsabile dell’area internazionale della Caritas:
R. – Bisogna
distinguere l’emergenza dal problema complessivo, dalla causa. Sull’emergenza c’è
stata una grande mobilitazione, c’è il coinvolgimento di tutti i governi, la Somalia
dà segnali di apertura. Quindi speriamo veramente che si possa far fronte alla situazione
di carestia che colpisce più o meno 12 milioni di persone, un numero impressionante
di famiglie, di popolazioni. Per quanto riguarda le cause, quindi la siccità, è chiaro
che tutto dipenderà da come sarà l’evolversi delle precipitazioni ma anche dalle politiche
che si metteranno in atto. E’ presumibile che per tutto il 2011 il problema non si
risolverà alla radice e quindi l’allarme dell’Onu penso sia giustificato e vada considerato
con la massima attenzione da tutti i governi di questi otto Stati che sono stati colpiti
dalla carestia.
D. - Che cosa sa di più di questi ponti aerei?
R.
– Il ponte aereo è particolarmente importante nella Somalia propriamente detta, quindi
il sud, anche se non bisogna dimenticare il Puntland e il Somaliland. La parte più
anarchica, più difficoltosa, dal punto di vista della raggiungibilità per le condizioni
di sicurezza è il sud ed è anche la zona più colpita dalla siccità. Quindi è molto
importante che questo ponte aereo continui anche nelle prossime settimane. Questo
non basta se poi non si prendono le misure alla radice.
D. - Quali dovrebbero
essere queste misure alla radice?
R. - C’è tutto il problema della desertificazione:
la Convenzione contro la desertificazione del ’96 non è mai stata applicata. La desertificazione
ha delle cause e non è dovuta solo alla diminuzione delle precipitazioni, ma a tutta
una serie di fattori che, di fatto, poi fanno sì che il Sahara continui ad espandersi
verso sud e che vede già da anni un allarme rosso rispetto a questo fenomeno e alle
sue conseguenze sia in termini di produzione di cibo, sia in termini anche di conflittualità
per le poche terre fertili che restano a disposizione. In questo senso c’è tutta una
serie di studi che denunciano la guerra in Sudan, le tensioni in Ciad, il conflitto
interno in Somalia, tra Etiopia e Eritrea, come cause principali ma anche mettono
in luce che i piani per la fertilizzazione, la potabilizzazione delle acque, e tutto
ciò che viene, devono essere sostanzialmente applicati negli anni e non solo in questa
fase di emergenza.
D. – Il presidente degli Stati Uniti Obama ha detto
che non è stata ancora attirata l’attenzione internazionale in modo sufficiente. Lei
che ne pensa?
R. – Sono d’accordissimo, il Papa probabilmente è stato
il primo ad alzare la voce e da allora forse un po’ più di attenzione c’è. Il problema
è che questo va mantenuto nel tempo. Le promesse che adesso stanno facendo i governi
e le istituzioni internazionali poi vanno mantenute: cosa che nel passato non si è
verificata. In questo caso oltre all’emergenza c’è da riconsiderare complessivamente
la situazione nel Corno d’Africa che è una delle peggiori al mondo e lo vediamo in
termini di perdite di vite umane e di danni su bambini, donne e popolazioni deboli.
(bf)