L’agenzia di rating Moody’s ha annunciato il possibile declassamento della Spagna,
mettendo sotto controllo tre banche del Paese iberico. Le difficoltà di Madrid si
aggiungono a quelle di Portogallo, Irlanda e Grecia. Sulle cause della situazione
economica europea, Giancarlo La Vella ha intervistato Giacomo Vaciago, docente
di economia all’Università Cattolica di Milano:
R.
- Sui due lati dell’Atlantico, negli Stati Uniti e in Europa, c’è una forte carenza
di governo. A Washington fra un anno si vota per la Casa e Bianca e c’è un contrasto
fra repubblicani e democratici che il presidente non riesce più a mediare. In Europa
abbiamo la moneta governata tecnicamente da una banca centrale, ma politicamente dai
giochi cooperativi di 17 governi, che però non si parlano, che non sanno fare squadra.
In pratica, abbiamo una moneta - e quindi un’area finanziaria valutaria - allo sbando.
Siamo quindi tutti spaventati, ed in attesa del peggio.
D. - E’ forse
una crisi che nelle more della gestione da parte dei governi, centrali o locali, viene
gestita dalle banche?
R. - Il mondo sta crescendo molto fuori dagli
Stati Uniti e dall’Europa. Le nostre imprese migliori là crescono e là stanno servendo
la crescita del mondo. Noi siamo in declino, quindi è chiaro che dovremmo avere governi
capaci di impostare nuove politiche per la crescita, altrimenti le nostri migliori
aziende se ne vanno a crescere altrove. Le banche fanno i loro interessi. Attenzione:
mentre l’industria, necessariamente, ha una visione di lungo periodo, le banche guadagnano
- come tutti i mercati finanziari - fra oggi e domani e i governi, come l’industria,
dovrebbero occuparsi del lungo periodo, del futuro di un Paese. E’ chiaro che quando
le banche conducono il gioco, i mercati soffrono di miopia. Ci si occupa di cosa si
pensa che succederà lunedì, che è un po’ poco per il futuro dell’umanità.
D.
- Che cosa dire delle agenzie di rating che annunciano il declassamento di questo
e quell’altro Paese?
R. - Direi che fanno il loro mestiere. Esistono
da un secolo, e a volte sbagliano. Hanno sbagliato per eccesso di ottimismo per circa
dieci anni; adesso le vedo sbagliare dalla parte opposta, sono forse troppo pessimiste.
(vv)
E sempre a proposito di crisi, ancora in stallo il dibattito sull’innalzamento
del debito pubblico degli Stati Uniti per evitare il default. L’ottimismo del presidente
Obama, che auspica un imminente accordo tra democratici e repubblicani, contrasta,
tuttavia con la lenta ripresa economica, in base ai dati ufficiali resi noti ieri.
Da New York, Elena Molinari:
La produzione
e i consumi Usa non ingranano e gli effetti della grande recessione si rivelano più
pesanti del previsto. Ieri si è appreso che nel secondo trimestre il prodotto interno
lordo americano è cresciuto solo dell’1,3 per cento rispetto all’1,8 previsto e i
consumi sono rimasti piatti in un Paese dove gli acquisti delle famiglie sono il motore
trainante dell’economia. Non si vedeva un rallentamento così prolungato da oltre 40
anni. Riemergono quindi paure di una ricaduta nella recessione soprattutto se i repubblicani
e i democratici non avvieranno per tempo il risanamento del bilancio senza demolire
la già debole rete di protezione sociale nel Paese. Nel tumulto del conto alla rovescia
per l’innalzamento del tetto del debito Barack Obama è invece apparso conciliatorio:
“Le posizioni dei due partiti non sono lontane”, ha detto. “Ci sono molti modi ancora
di risolvere questo problema”.
Mentre al Congresso americano prosegue la
battaglia politica sul debito, i vescovi cattolici statunitensi esortano i legislatori
a rispettare, nelle loro valutazioni, le persone economicamente più deboli. In una
lettera aperta, i presuli hanno chiesto ai parlamentari attenzione per le fasce più
basse della popolazione. Uno dei firmatari del documento è il vescovo di Albany,
mons. Howard Hubbard, che, al microfono di Robert White, si sofferma sull’aspetto
morale del dibattito sul debito:
R. –
It is the opinion of the bishops... E’ opinione dei vescovi che il budget abbia
anche una portata morale; è un metro di come noi, come nazione, ci occupiamo per gli
ultimi tra di noi. Il governo ed altre istituzioni hanno la responsabilità di promuovere
il bene comune per tutti, in particolare le necessità di lavoratori e famiglie comuni,
che lottano per condurre una vita dignitosa in tempi economicamente difficili. Noi
abbiamo affermato che un quadro “giusto” per il budget non si possa fondare su tagli
ai servizi essenziali ai poveri: sono necessari sacrifici condivisi da tutti, compresa
l’introduzione della adeguata tassazione delle entrate dei ricchi nonché l’eliminazione
di spese militari e di altro genere che siano inutili. Vanno poi avviate iniziative
a lungo termine come l’assistenza sanitaria e un corretto sistema di pensionamento.
Ecco: noi crediamo che siano necessari dei compromessi che coinvolgano tutti e ciascuno
nella nostra società e che debbano esserci sacrifici condivisi; la nostra preoccupazione
è che l’impatto della proposta sull’innalzamento del tetto del debito possa ricadere
in maniera non proporzionale sulle spalle dei poveri e questo, per noi, è grave da
un punto di vista morale. (ap)