Washington: il cardinale Burke richiede massimo rispetto e cura per i malati
“La vita umana è un dono, al quale deve essere dato il massimo rispetto e la massima
cura dall’inizio fino alla morte. Non siamo noi i creatori della vita e dobbiamo rispettare
il piano dell’‘Autore’, che riguarda noi e il nostro mondo”. È quanto dichiarato dal
cardinale Raymond Leo Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica
in occasione della conferenza sul tema del “mistero della sofferenza umana e della
morte”, promossa nell’arcidiocesi di Kansas City dall’associazione Saint Gianna Physician’s
Guild, che sostiene i valori della fede cattolica nella pratica sanitaria. Il cardinale
ha evidenziato “che non importa quanto una vita sia ridotta e quanta sia la sofferenza:
essa esige sempre il massimo rispetto e la massima cura; non vi è mai un diritto di
spegnere una vita, nonostante sia gravata da un pesante fardello”. Il cardinale Burke
- riporta L’Osservatore Romano - ha osservato la necessità per i cattolici in generale,
ma soprattutto per i giovani studenti, di essere informati sulla posizione della Chiesa
in merito all’eutanasia, prendendo spunto dalla vicenda di Theresa Marie Schindler
Schiavo. Terri, cosi veniva soprannominata la donna, era disabile ed è morta nel
2005 in seguito della volontà dei genitori e della sentenza di una Corte, che ha imposto
l’interruzione della nutrizione e dell’idratazione artificiali. Il porporato ha indicato
che “la sofferenza umana non può che essere compresa alla luce del dono e della dignità
umana” e ha aggiunto che “impossessarsi deliberatamente della vita di una persona
innocente è intrinsecamente malvagio e mai giustificabile. I giovani - ha puntualizzato
il porporato - dovrebbero seguire un certo numero di corsi di filosofia, in modo tale
che in qualsiasi campo si specializzino, usino un approccio logico e pieno di fede
ai problemi dalla vita”. Ha infine terminato affermando che “il rispetto della dignità
della vita umana è il fondamento del buon ordine della nostra vita individuale e della
nostra società”. Senza questa prospettiva “le nostre vite personali diventano profondamente
disordinate e la società si trasforma in un teatro di violenza e di morte”. (G.I.)