Fame e guerra in Somalia. Mons. Bruno Forte: senza solidarietà non c'è futuro per
l'umanità
Violenti scontri si registrano questa mattina nel centro di Mogadiscio in seguito
a un'offensiva delle forze del governo transitorio somalo contro gli Shabab, gli estremisti
islamici che detengono il potere nella maggior parte del Paese. Il servizio è di Salvatore
Sabatino:
Non c’è davvero
fine alla tragedia che sta colpendo la Somalia. Perché, oltre alla carestia che ha
già causato migliaia di morti, ora il Paese deve fronteggiare un’altra emergenza,
questa volta legata alla sicurezza interna. Questa mattina, infatti, violenti scontri
sono esplosi fra forze lealiste e islamici a Mogadiscio, nei pressi del mercato Bakara
e nel quartiere Suqbacad. Entrambe le parti, secondo i testimoni, hanno usato artiglieria
pesante. Difficile, per il momento, parlare di vittime, anche perché le autorità locali
non hanno diffuso notizie in tale senso; certa e confermata, invece, la dinamica delle
violenze: tutto è iniziato quando le forze governative, col sostegno di truppe dell'Unione
Africana, hanno attaccato un bastione dei gruppi armati islamici Shabaab; i miliziani,
che detengono il potere nella maggior parte del Paese, nei giorni scorsi avevano sfidato
la comunità internazionale, vietando la distribuzione di aiuti alimentari nelle aree
colpite dalla carestia. Nonostante tutto, però, ieri il Pam, il Programma alimentare
mondiale, ha annunciato la partenza del primo ponte aereo di aiuti umanitari per la
capitale somala.
La grave carestia nel Corno d’Africa è un’emergenza umanitaria
che oltre a domandare solidarietà internazionale per le popolazioni in difficoltà
deve anche tornare a far riflettere sulle motivazioni profonde dei gravi disequilibri
economici mondiali e sui rischi per tutti. Fausta Speranza ne ha parlato con
mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto:
R. - Io credo
che interroghi ogni uomo, perché questa tragica carestia, siccità, in Somalia, in
realtà, esprime una situazione di grave necessità di tutto il pianeta Terra. Sappiamo
che esiste un problema di surriscaldamento dei mari, specialmente nella fascia equatoriale,
e questo problema di carestia e siccità riguarda non solo la Somalia ma anche fasce
del continente americano. Chiudere gli occhi di fronte a quello che sta avvenendo
nel Corno d’Africa significa chiudere gli occhi di fronte al futuro della casa comune,
che è il pianeta Terra. In un’epoca di globalizzazione questo non dev’essere consentito
a nessuno.
D. - A parte situazioni di emergenza, questi sono anni di
crisi economica e ora c’è la situazione degli Stati Uniti: per anni abbiamo considerato
Washington la prima potenza mondiale e adesso sentiamo che trema per il possibile
default a causa del debito, peraltro soprattutto nei confronti della Cina... In economia,
dunque, ci sono davvero pochissime certezze, piuttosto un’economia in bilico…
R.
- Credo che stia venendo a galla quello che è il vero, grande problema segnalato dalla
“Caritas in veritate”: il rapporto fra globalizzazione e localizzazione, cioè fra
questa rete globale del pianeta e le identità locali, che spesso sono state in essa
mortificate. Nel momento in cui l’economia mondiale continua ad essere governata
dalla ricerca di un profitto sempre più grande per quelli che se lo possono permettere,
ciò che sta avvenendo è soltanto la pallida ombra della tragedia che potrebbe profilarsi
a livello planetario. Siamo di fronte ad un campanello d’allarme molto grave ed il
Papa, nella “Caritas in veritate”, lo ha voluto segnalare con la pacatezza della sua
riflessione e con la profondità della sua analisi.
D. - Benedetto XVI,
nel discorso di Pentecoste, ha parlato di “parti della famiglia umana divise e disperse”.
Come tornare a riflettere su queste parole?
R. - Queste parole sono
tanto più gravi in quanto si collocano in un contesto che è appunto quello delle globalizzazioni.
Senza un’attenzione ed un nuovo ordine economico-mondiale che si fondi non sul primato
del più forte ma su un’economia di solidarietà e di gratuità per i più deboli, il
futuro dell’umanità è un futuro a rischio. A me sembra che questa profezia si stia
realizzando in pieno nei confronti dei Paesi dell’Occidente che - siamo onesti - sono
quelli che finora hanno maggiormente beneficiato degli squilibri del pianeta Terra.
L’emergere dei Paesi del Terzo e Quarto Mondo è certamente significativo, ma naturalmente
potrà essere a rischio se si faranno gli stessi errori commessi dall’Occidente. Penso,
ad esempio, alle economie della Cina e dell’India. Ecco perché questo è un momento
in cui occorrerebbe che i grandi ed i piccoli della terra si mettessero intorno ad
un tavolo per una riflessione comune. Sarebbe compito dell’Onu sfidare tutti a pensare
un nuovo ordine economico internazionale. Il compito della Chiesa è segnalare la gravità
e l’urgenza di queste scelte ispirate all’etica.
D. - Sembra necessaria
una parola, dopo tutte queste riflessioni: “unità”. Cristo chiama tutti e la sua Chiesa
all’unità, ora in questo mondo globalizzato e dunque con modalità e sfide nuove ed
anche con debolezze che emergono…
R. - Certamente. La parola “unità”
ci richiama alla preghiera di Gesù: che tutti siano uno. E ci richiama a quella che
è la condizione fondamentale dell’unità, cioè l’amore, l’agape del Nuovo Testamento.
Può sembrare paradossale e perfino ingenuo, ma la grande proposta che ci viene dalla
“Caritas in veritate” è che senza amore, senza un amore solidale e responsabile fra
i singoli e fra i popoli, non ci sarà un vero futuro per l’umanità. Un’economia che
mette l’amore da parte, come se fosse una condizione superflua, è un’economia che
si condanna al fallimento. In altre parole, la carità è il principio che salverà il
mondo. Anche in campo economico, anche di fronte a sfide drammatiche come quelle che
provengono, in questo momento, dal Corno d’Africa. Senza carità e senza amore saremmo
tutti meno umani, meno felici e alla fine distruggeremmo questo giardino da coltivare
che Dio ci ha affidato. Con l’amore, quello che viene da Dio, al di là dei nostri
limiti e delle nostre incapacità, il pianeta Terra può ancora cambiare, il giardino
di Dio può rifiorire, il deserto può trasformarsi in giardino. (vv)