Benedetto XVI: saremo giudicati sull’amore per i fratelli più piccoli
“Il regno dei Cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere
di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano via”, “raccolgono i pesci buoni nei
canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo”. E’ questo un passo
del Vangelo odierno, tratto da Matteo, che invita i fedeli a soffermarsi sulla realtà
del Giudizio finale. Una riflessione che si fa ancor più pressante, di fronte a realtà
sconvolgenti quali la carestia nel Corno d’Africa che sta uccidendo migliaia di innocenti
nell’indifferenza dell’opinione pubblica. Sulla realtà ultima del Giudizio e in particolare
sul suo criterio, l’amore, Benedetto XVI ha svolto diverse riflessioni a partire dalla
sua Enciclica, “Spe Salvi”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Nel momento
del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo” il prevalere dell’amore di Dio “su tutto
il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell'amore diventa la nostra salvezza e la
nostra gioia”: è uno dei passaggi forti della “Spe Salvi” in cui Benedetto XVI sottolinea
come il Giudizio finale vada atteso non con paura, ma con speranza. “Io – scrive il
Papa nell’Enciclica - sono convinto che la questione della giustizia costituisce l'argomento
essenziale, in ogni caso l'argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna”.
Il Papa ci porta dunque a riflettere su una pagina evangelica tra le più conosciute,
per comprendere meglio la realtà del Giudizio:
“Ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi
avete accolto… (Mt 25,35) e così via. Chi non conosce questa pagina? Fa parte della
nostra civiltà. Ha segnato la storia dei popoli di cultura cristiana: la gerarchia
di valori, le istituzioni, le molteplici opere benefiche e sociali.” (Angelus, 23
novembre 2008)
Dobbiamo avere, esorta il Papa, un “cuore che vede”.
Non possiamo restare indifferenti di fronte alle sofferenze dell’umanità. Cristo,
avverte, è Pastore buono e misericordioso, ma anche Giudice giusto che nel Giudizio
finale separerà i buoni dai malvagi. Benedetto XVI ci indica il “criterio decisivo”
di questo giudizio:
“Questo criterio è l’amore, la carità concreta
nei confronti del prossimo, in particolare dei ‘piccoli’, delle persone in maggiore
difficoltà: affamati, assetati, stranieri, nudi, malati, carcerati. Il re dichiara
solennemente a tutti che ciò che hanno fatto, o non hanno fatto nei loro confronti,
l’hanno fatto o non fatto a Lui stesso. Cioè Cristo si identifica con i suoi ‘fratelli
più piccoli’, e il giudizio finale sarà il rendiconto di quanto è già avvenuto nella
vita terrena”. (Visita apostolica ad Amalfi, 22 novembre 2008)
Questo
amore su cui saremo giudicati, soggiunge il Papa, non è mera filantropia. La sua fonte
è Cristo stesso:
“Lo spettacolo dell'uomo sofferente tocca il nostro
cuore. Ma l'impegno caritativo ha un senso che va ben oltre la semplice filantropia.
È Dio stesso che ci spinge nel nostro intimo ad alleviare la miseria. Così, in definitiva,
è Lui stesso che noi portiamo nel mondo sofferente”. (Udienza Cor Unum, 23 gennaio
2006)
E dunque, prosegue, “quanto più consapevolmente e chiaramente
lo portiamo come dono”, tanto più efficacemente il nostro amore cambierà il mondo
e risveglierà la speranza. Ecco perché, ribadisce il Papa, la fede non è una teoria
che “si può far propria o anche accantonare”:
“È una cosa molto concreta:
è il criterio che decide del nostro stile di vita. In un'epoca nella quale l'ostilità
e l'avidità sono diventate superpotenze, un'epoca nella quale assistiamo all'abuso
della religione fino all'apoteosi dell'odio, la sola razionalità neutra non è in grado
di proteggerci. Abbiamo bisogno del Dio vivente, che ci ha amati fino alla morte”.
(Udienza Cor Unum, 23 gennaio 2006)