Sud Sudan, ucciso il capo del gruppo dei ribelli che aveva accettato la tregua
Attenzione internazionale puntata sui primi passi del nuovo Stato del Sud Sudan. Dopo
il referendum del 9 luglio scorso, che ha sancito la separazione di Juba da Karthoun,
rimangono in piedi le irrisolte questioni per la sovranità sui territori di confine,
ricchi di petrolio e altre materie prime. Desta, inoltre, preoccupanti interrogativi
l’uccisione del leader dei ribelli del Sudan meridionale, Gatluak Gay, il cui gruppo
aveva accettato il cessate-il-fuoco, proprio mentre le autorità sud-sudanesi stanno
portando avanti una proposta di amnistia nei confronti di tutti i movimenti ribelli.
Una situazione, dunque, ancora molto articolata. Giancarlo La Vella ne ha parlato
con Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle Istituzioni africani all’Università
di Torino:
R. - L’aspetto
più preoccupante è che, inevitabilmente, questo nuovo Stato nasce sotto il controllo
di un’etnia, l’etnia Dinca. Sono i Dinca che hanno costituito la parte fondamentale
dello Spla, ovvero del movimento leader della lotta indipendentista del Sud Sudan.
Già dal 2005, quando è stato firmato l’accordo globale di pace, questo aspetto era
evidente perché già alla costituzione del Sud Sudan come amministrazione semiautonoma
la prevalenza dei Dinca - seguiti dai Nuer, che sono la seconda etnia più importante
del Sud Sudan - creava tensioni, contrasti e scontenti. Una delle conseguenze è che
gruppi armati che facevano parte dello Spla si sono allontanati dal movimento e in
questo momento stanno combattendo e creando i problemi in alcune regioni del Sud Sudan.
D.
- Che cosa chiedono questi gruppi cosiddetti “minori”?
R. - Molto probabilmente
chiedono una posizione più importante all’interno del nuovo governo, un maggiore potere
all’interno delle nuove istituzioni. Una delle sfide decisive di questo nuovo Stato
è come i Dinca sapranno e vorranno spartire le cariche politiche e amministrative
per evitare che questo nuovo Stato si frammenti, invece di consolidarsi come entità
nazionale sulla base dei fattori culturali e sociali che comunque queste etnie hanno
in comune.
D. - Forse in questa fase, sono meno preoccupanti di quanto
si pensasse i rapporti tra Juba e Khartoum… Com’è la situazione?
R.
- Khartoum ha deciso di imporre una tassa sul passaggio del petrolio, sappiamo che
la maggior parte del petrolio si trova al sud, ma gli oleodotti che permettono la
raffinazione e l’esportazione del petrolio si trovano al nord. Il problema grave lo
stanno vivendo gli Stati di confine e le popolazioni che ci abitano. Stati come Abyei,
Sud Kordofan, che stanno subendo attacchi violentissimi da parte del governo del nord
che pretende con questi attacchi, con queste incursioni, di colpire i ribelli che
non vorrebbero far parte del Nord Sudan, ma vorrebbero essere integrati al sud. La
popolazione civile sta pagando le spese in un modo davvero drammatico, tanto che si
avanzano già ipotesi di un nuovo genocidio ai danni di queste popolazioni.
D.
- Il Sud Sudan è entrato subito a far parte del Consesso internazionale con l’ingresso
nell’Onu. C’è stata già, in queste prime settimane di vita del nuovo Stato, una ricaduta
positiva?
R. – Sì, naturalmente questo rafforza il governo di Juba a
fronte di eventuali problemi con il nord. Tra l’altro si spiega, almeno in parte,
con il fatto che in queste regioni si trovano la maggior parte dei giacimenti petroliferi
della regione. Questo rende interessante lo Stato, non soltanto dal punto di vista
politico, ma anche da un punto di vista economico: guardano tutti a Juba come ad un
interlocutore, non solo politico, ma economico di estremo interesse. (ma)