2011-07-24 14:48:03

Sud Sudan, ucciso il capo del gruppo dei ribelli che aveva accettato la tregua


Attenzione internazionale puntata sui primi passi del nuovo Stato del Sud Sudan. Dopo il referendum del 9 luglio scorso, che ha sancito la separazione di Juba da Karthoun, rimangono in piedi le irrisolte questioni per la sovranità sui territori di confine, ricchi di petrolio e altre materie prime. Desta, inoltre, preoccupanti interrogativi l’uccisione del leader dei ribelli del Sudan meridionale, Gatluak Gay, il cui gruppo aveva accettato il cessate-il-fuoco, proprio mentre le autorità sud-sudanesi stanno portando avanti una proposta di amnistia nei confronti di tutti i movimenti ribelli. Una situazione, dunque, ancora molto articolata. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle Istituzioni africani all’Università di Torino:RealAudioMP3

R. - L’aspetto più preoccupante è che, inevitabilmente, questo nuovo Stato nasce sotto il controllo di un’etnia, l’etnia Dinca. Sono i Dinca che hanno costituito la parte fondamentale dello Spla, ovvero del movimento leader della lotta indipendentista del Sud Sudan. Già dal 2005, quando è stato firmato l’accordo globale di pace, questo aspetto era evidente perché già alla costituzione del Sud Sudan come amministrazione semiautonoma la prevalenza dei Dinca - seguiti dai Nuer, che sono la seconda etnia più importante del Sud Sudan - creava tensioni, contrasti e scontenti. Una delle conseguenze è che gruppi armati che facevano parte dello Spla si sono allontanati dal movimento e in questo momento stanno combattendo e creando i problemi in alcune regioni del Sud Sudan.

D. - Che cosa chiedono questi gruppi cosiddetti “minori”?

R. - Molto probabilmente chiedono una posizione più importante all’interno del nuovo governo, un maggiore potere all’interno delle nuove istituzioni. Una delle sfide decisive di questo nuovo Stato è come i Dinca sapranno e vorranno spartire le cariche politiche e amministrative per evitare che questo nuovo Stato si frammenti, invece di consolidarsi come entità nazionale sulla base dei fattori culturali e sociali che comunque queste etnie hanno in comune.

D. - Forse in questa fase, sono meno preoccupanti di quanto si pensasse i rapporti tra Juba e Khartoum… Com’è la situazione?

R. - Khartoum ha deciso di imporre una tassa sul passaggio del petrolio, sappiamo che la maggior parte del petrolio si trova al sud, ma gli oleodotti che permettono la raffinazione e l’esportazione del petrolio si trovano al nord. Il problema grave lo stanno vivendo gli Stati di confine e le popolazioni che ci abitano. Stati come Abyei, Sud Kordofan, che stanno subendo attacchi violentissimi da parte del governo del nord che pretende con questi attacchi, con queste incursioni, di colpire i ribelli che non vorrebbero far parte del Nord Sudan, ma vorrebbero essere integrati al sud. La popolazione civile sta pagando le spese in un modo davvero drammatico, tanto che si avanzano già ipotesi di un nuovo genocidio ai danni di queste popolazioni.

D. - Il Sud Sudan è entrato subito a far parte del Consesso internazionale con l’ingresso nell’Onu. C’è stata già, in queste prime settimane di vita del nuovo Stato, una ricaduta positiva?

R. – Sì, naturalmente questo rafforza il governo di Juba a fronte di eventuali problemi con il nord. Tra l’altro si spiega, almeno in parte, con il fatto che in queste regioni si trovano la maggior parte dei giacimenti petroliferi della regione. Questo rende interessante lo Stato, non soltanto dal punto di vista politico, ma anche da un punto di vista economico: guardano tutti a Juba come ad un interlocutore, non solo politico, ma economico di estremo interesse. (ma)







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