Carovita in Malawi, esplodono le violenze: 18 i morti. Appello dei vescovi
Stati Uniti, Onu e Unione Europea hanno condannato l’uso della forza in Malawi, dove
ieri la polizia è intervenuta per disperdere alcune manifestazioni antigovernative
provocando almeno 18 vittime. Oggi fonti della sicurezza riferiscono di oltre 200
arresti eseguiti in varie città negli ultimi due giorni. I vescovi del Malawi hanno
invitato alla calma, esortando i dimostranti a fermare ogni forma di violenza e di
saccheggio e chiedendo al governo di aprire una chiara linea di dialogo con tutte
le parti interessate. Ma qual è il clima nel Paese africano in queste ore? Eugenio
Bonanata lo ha chiesto a padre Piergiorgio Gamba, missionario dei monfortani
che vive da anni in Malawi:
R. – Il clima
è certamente di attesa dopo la violenza che ha fatto seguito a una manifestazione
che era rimasta nei limiti di una manifestazione pacifica; poi è diventata violenta
proprio per il modo con cui è intervenuta la polizia, un modo molto pesante. Adesso
si sta calmando anche perché è intervenuto l’esercito che in Malawi è considerato
dalla parte della gente.
D. - La gente reclama la mancanza di cibo,
l’aumento dei prezzi e la carenza di carburante…
R. - In particolare
la mancanza di energia elettrica. Si tratta di beni che non erano mai venuti a mancare
in un modo così vistoso come lo sono attualmente, con la risposta del ministro dei
Trasporti che, davanti a quello che la gente chiede, dice: “Eh, bisognerà abituarsi
a questa situazione”.
D. - Quali sono state le reazioni della presidenza?
R.
– Il Paese ha fatto scelte legate a un’autarchia estrema. Il presidente porta avanti
discorsi ideologici di patriottismo e indipendenza che poi non corrispondono alla
realtà del Paese.
D. - Come si vive in Malawi?
R. – La
popolazione, in grandissima maggioranza, vive ancora con meno di un dollaro al giorno
e c’è una estrema povertà. In questi ultimi anni però c’era tanta speranza, il Paese
aveva raggiunto una crescita del 7 per cento, quindi tra le più alte al mondo. Certo,
questa crescita non si vedeva nel villaggio, però si vedeva un Paese, che nella stabilità
che lo caratterizza - perché rimane uno dei Paesi che non ha mai avuto esperienze
di guerra - ha voluto dire chiaramente che non era più possibile continuare così.
D.
– Qual è il messaggio che emerge da queste manifestazioni?
R. – Queste
manifestazioni accusano il governo di portare il Paese a un aumento della povertà
insostenibile e vogliono che cambi.
D. – Com’è stata la reazione della
Chiesa locale?
R. – La Chiesa cattolica, il 30 ottobre 2010, all’inizio
dell’Avvento, aveva presentato un programma dove esprimeva i sentimenti della gente
che si sentiva andare alla deriva, abbandonata dalla politica e dai propri leader.
Da lì il presidente ha chiuso ogni dialogo con la Chiesa. La Chiesa è una presenza
molto forte - sono otto diocesi, otto vescovi di cui sei africani e due europei -
e ha continuato la ricerca del dialogo. Immediatamente prima di queste manifestazioni
aveva fatto sentire forte il suo messaggio parlando di una manifestazione pacifica
a tutti i costi. Il giorno della manifestazione, quando ormai stava scadendo nella
violenza, c’è stata poi una lettera in cui il rappresentante dei vescovi chiedeva
il dialogo con la presidenza, e, allo stesso tempo, chiedeva alla gente di evitare
qualsiasi forma di violenza e di confrontarsi con la dirigenza politica.