Fame in Somalia. Appello di Ban Ki-moon: si mobiliti il mondo
La comunità internazionale si muove in soccorso del Corno d’Africa colpito da una
gravissima siccità che sta mietendo vittime, soprattutto bambini, e sta causando l’esodo
di popolazioni intere. Ieri l’Onu ha dichiarato lo stato di “carestia” nella regione.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in prima persona, ha lanciato
un appello ai Paesi membri, affinché si raccolgano con urgenza aiuti umanitari per
1 miliardo e 600 milioni di dollari per soccorrere almeno 3 milioni e 700 mila persone,
alle quali manca di tutto. Se non si interverrà – ha detto Ban Ki-moon – le conseguenze
saranno devastanti, non solo per la Somalia, ma anche per i Paesi vicini”. Su questa
drammatica situazione, Giancarlo La Vella ha sentito Massimo Alberizzi,
inviato speciale del Corriere della Sera, raggiunto telefonicamente in Somalia:
R. – Sono
circa due ore di strada da Dadaab, da questo campo, che più che un campo direi che
è un inferno; dev’essere un girone dantesco così come lo descrivono, perché arrivano
da 1000 a 1500, 1700 profughi al giorno. Non si sa bene come sistemarli, non c’è acqua;
distribuiscono acqua e cibo, però è difficile raggiungerli perché arrivano al campo,
non si sa dove si stabiliscono, dovrebbero andare a registrarsi ma c’è talmente tanta
folla che non possono neanche rimanere in coda. In un giorno non si smaltisce la fila
di 1500 persone, quindi si arrangiano come possono qua e là e hanno anche difficoltà
a raggiungere i punti di distribuzione del cibo e dell’acqua.
D. – C’è
la speranza che la mobilitazione lanciata dall’Onu riesca ad alleviare la situazione?
R.
– Questo è il tentativo. In realtà questo serve soprattutto per reperire fondi per
aiutare questa gente perché anche i fondi cominciano a scarseggiare. Si deve considerare
che finalmente il Kenya ha permesso l’apertura di un nuovo campo che è già pronto
da qualche anno, però bisogna sistemarlo per fare entrare la gente e trovare loro
un’accoglienza. Sta accadendo in questi giorni, ma il campo non è ancora operativo.
Speriamo che lo sarà presto. Ci vogliono fondi, bisogna anche provvedere alla sicurezza
perché la zona è molto insicura.
D. – Come risulta questa convivenza
drammatica tra siccità, carestia e guerra?
R. – Questa è la sciagura.
La guerra porta la carestia, le malattie. Ovviamente è tutto consequenziale perché
se ci fosse un Paese in condizioni normali e non di emergenza e di guerra, si potrebbe
comunque continuare a coltivare in qualche modo, magari raccogliendo l’acqua. Invece
in una situazione di emergenza e di guerra questo non è possibile. L’obiezione che
viene è anche quella di dire: anche in Kenya, in Etiopia, in Gibuti c’è la carestia.
Questo è vero, però paragonate a quella della Somalia le condizioni sono migliori.
D.
– Come mai questa tragedia almeno nella sua fase iniziale è avvenuta nel silenzio
dell’opinione pubblica mondiale?
R. – Sì, qualche governo ha anche stanziato
fondi, però c’è voluta proprio la diplomazia dell’Onu per fare esplodere il “bubbone”.