Benedetto XVI e gli insegnamenti sul sacerdozio: non parliamo delle nostre verità
ma di quella di Cristo
Uno dei grandi temi di riflessione sviluppato da Benedetto XVI tra il giugno del 2009
lo stesso mese del 2010 è stato quello del sacerdozio. Il Papa vi ha dedicato uno
speciale Anno, durante il quale si è soffermato a più riprese – nelle udienze generali
o in altre occasioni – sugli aspetti del ministero consacrato che fanno di un uomo
un “altro Cristo”. E non ha esitato a stigmatizzare ciò che, troppo spesso, ha “macchiato”
questa speciale vocazione divina. In questo servizio, Alessandro De Carolis
ricorda alcune delle espressioni più intense di Benedetto XVI:
Quella del
sacerdote è una “carriera” al contrario: il massimo dell’onore sta nell’essere servo,
la massima espressione della libertà personale nel fare spazio alle idee di un Altro.
Una missione impossibile, secondo gli standard umani della scalata al potere. E infatti
il potere, in questo caso, viene da Dio, attraverso le insondabili strade che portano
il sussurro della Sua voce a rapire un’intelligenza e a incendiare un’anima. Questa
è una missione possibile, possibile per Dio, che – afferma in una occasione Benedetto
XVI – non ha paura di far passare la ricchezza del suoi doni dalle mani di un povero
amministratore:
“Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida
se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di
agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente
grande che si nasconde nella parola ‘sacerdozio’. Che Dio ci ritenga capaci di questo;
che Egli in tal modo chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad
essi”. (Omelia per la conclusione Anno sacerdotale, 11 giugno 2010)
La
missione del sacerdote, dunque, arriva direttamente dal cielo, da dove proviene anche
il sacerdote per eccellenza, Gesù. Come Lui, ripete il Papa, un sacerdote è autentico
quando si fa “ponte” tra l’umanità a Dio. Un ruolo altissimo, dietro il quale – mette
in guardia Benedetto XVI – potrebbe tuttavia annidarsi l’antichissima tentazione di
sentirsi non il portatore di una lieta notizia, ma l’autore della notizia stessa:
“Il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso
ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla
per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie,
proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna
in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola,
il suo modo di vivere e di andare avanti”. (Udienza generale, 14 aprile 2010)
Nella
Lettera con la quale il 16 giugno 2009 indice l’Anno sacerdotale, il Papa indica un
modello di riferimento, San Giovanni Maria Vianney. Un modello di un’altra epoca,
certo, scomparso 150 anni prima. In che modo, si chiede allora, potrebbe “imitarlo
un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato?”:
“A ben vedere, ciò
che ha reso santo il Curato d’Ars è l’essere innamorato di Cristo. Il vero segreto
del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico
annunciato, celebrato e vissuto, e che è diventato amore delle pecore di Cristo, delle
persone che cercano Dio”. (Udienza generale, 5 agosto 2009)
La cronaca
dell’Anno sacerdotale racconta che mentre Benedetto XVI trovi di volta in volta espressioni
profonde per rendere evidente la grandezza e l’importanza del ministero consacrato,
proprio negli stessi mesi lo scandalo della pedofilia nel clero si scateni con forza,
oscurando e infangando laddove il Papa cerca di illuminare e purificare. L’11 giugno
del 2010, in una Piazza San Pietro imbiancata dalle talari di migliaia di sacerdoti,
le parole di Benedetto XVI risuonano con particolare intensità:
“Era
da aspettarsi che al ‘nemico’ questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto;
egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto
fuori dal mondo. (applausi) E così è successo che, proprio in questo anno di gioia
per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti –
soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito
della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario”. (Omelia
per la conclusione Anno sacerdotale, 11 giugno 2010)
E tuttavia,
anche se per le sue debolezze – o per l’indifferenza tante volte manifestata dall’uomo
contemporaneo verso tutto ciò che è religioso – quella del sacerdote potrebbe “non
di rado” sembrare, aveva detto il Papa qualche settimana prima, “voce di uno che grida
nel deserto”, ciò non toglie nulla alla sua forza profetica della sua vocazione:
“Preghiamo
realmente il Signore, perché ci aiuti a (...) raccogliere l’essere umano e portarlo
– con il nostro esempio, con la nostra umiltà, con la nostra preghiera, con la nostra
azione pastorale – nella comunione con Dio”. (Incontro con clero romano, 18 febbraio
2010)