La crisi in Europa e Stati Uniti: fermare la corsa del debito pubblico
Stati e Uniti ed Europa in questi giorni sono alle prese con la difficile situazione
economica. A Washington continua il confronto tra il presidente Obama ed il Congresso,
in particolare con i repubblicani, con l’obiettivo di definire le misure comuni da
adottare per far fronte al debito pubblico. Nell’Unione Europea si guarda con attenzione
alle situazioni dei singoli Stati: la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e al rischio
che anche l’Italia si trovi in difficoltà. Quali le differenze tra queste due realtà?
Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Carlo Altomonte, docente di Economia
Politica all’Università Bocconi di Milano:
R. – Sono
due situazioni secondo me molto diverse. Quello americano è un problema almeno nel
breve periodo contingente, nel senso che riguarda tutta la dotazione finanziaria del
Congresso per quest’anno e che potrebbe venire sbloccato da una decisione politica
e a quel punto il problema smetterebbe di porsi e il debito americano continuerebbe
a salire ma a un livello sostenibile. Mentre per quel che riguarda l’Europa, la struttura
complessiva del debito viene considerata troppo elevata dal mercato per alcuni Paesi
e quindi, di fatto, il mercato chiede un aggiustamento che al momento invece non viene
richiesto agli Stati Uniti.
D. –Che cos’è un debito pubblico?
R.
– Il debito pubblico semplicemente è la somma dei deficit che uno ha accumulato durante
la propria gestione. Evidentemente prima o poi qualcuno chiederà di ripagare questo
debito e da questo punto di vista, quando il debito supera un certo valore critico
- diciamo il 90 per cento del fatturato - il mercato inizia a essere un po’ attento
a queste dinamiche. Gli Stati Uniti supereranno questo valore l’anno prossimo e quindi
probabilmente saranno visti dall’anno prossimo con un occhio un po’ più attento da
parte del mercato.
D. - Guardando la dimensione più microeconomica,
la ricaduta sulle famiglie qual è?
R. – La ricaduta sulle famiglie è
che da un lato sicuramente ci saranno degli aggravi di spesa, piccole operazioni che
avranno un impatto sulla capacità di spendere delle famiglie. Se noi non facciamo
queste operazioni velocemente rischiamo di arrivare a una situazione tipo Grecia o
tipo Argentina e a quel punto vedremmo svaporare la nostra ricchezza finanziaria.
Per evitare questo dobbiamo fare dei sacrifici nel breve periodo in attesa che la
situazione in qualche modo migliori. Cerchiamo poi di metterci d’accordo sul fatto
che tutti partecipino e che non ci siano dei furbi che fanno meno sacrifici di altri
ma la direzione non può che essere questa.
D. – Già si parla del rischio
che alcuni Paesi escano fuori dall’euro ma questa sarebbe una misura che potrebbe
salvare dalla crisi o ormai è impensabile uscire fuori dalla moneta unica?
R.
- Il vero punto è non tanto che alcuni Paesi decidano da uscire dalla moneta unica
ma piuttosto che l’Europa dia le risposte alla crisi necessaria: quindi una ristrutturazione
del debito di Grecia e forse Portogallo e Irlanda, un vero nucleo di politica fiscale
europea e un ruolo più attivo della Banca centrale europea nel gestire questa massa
di debito pubblico. Se l’Italia fallisce, insieme ad essa, fallirebbe istantaneamente
la Francia e a cascata la Germania. Per questo l’Italia fa la sua parte - in tre giorni
abbiamo trovato 70 miliardi di manovra - adesso tocca all’Europa fare la sua parte.
(bf)