La Chiesa naviga su Twitter: intervista con il cardinale Ravasi
‘Il linguaggio sintetico e incisivo di Twitter può insegnare molto alla comunicazione
religiosa’. Con questa convinzione, dal 20 giugno scorso, il cardinale Gianfranco
Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha cominciato a ‘twittare’
quotidianamente e cioè ad inviare ogni giorno una citazione biblica attraverso il
social-network Twitter. Lo stesso Benedetto XVI, il 28 giugno scorso, aveva utilizzato
Twitter per lanciare il nuovo portale informativo della Santa Sede news.va, a conferma
del crescente impegno della Chiesa nel promuovere l’informazione e l’evangelizzazione
attraverso il web. Ascoltiamo lo stesso cardinale Ravasi al microfono di Fabio
Colagrande.
R. – Naturalmente,
noi lavoriamo in collaborazione con il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali,
e la nostra ricerca sulla comunicazione è più di tipo teorico. Siamo di fatti di fronte
ad un vero e proprio evento culturale che uno studioso americano – John Barlow – ha
rappresentato come una sorta di nuova scoperta del fuoco, cioè come qualcosa che rivoluzionerà
completamente non soltanto la comunicazione, ma anche i nostri modelli antropologici.
Un ragazzo di oggi che trascorre un pomeriggio intero, poniamo cinque ore, davanti
allo schermo di un computer, chattando, ha una comunicazione diversa dalla nostra
che di solito comunichiamo per così dire con gli occhi negli occhi, con il calore
e il colore delle persone. Quindi, è indispensabile riflettere su questi modelli di
comunicazione, e in particolare abbiamo voluto prendere la via del blog, che è la
grande rete di comunicazione immediata, spontanea, diretta. I blogger che noi avevamo
convocato personalmente, fisicamente qui in Vaticano, il 2 maggio scorso, mentre partecipavano
al meeting dialogavano ininterrottamente con centinaia e centinaia di altri proprio
attraverso Twitter. E allora abbiamo voluto, anche noi, entrare nell’interno della
comunicazione minima, microscopica, quasi, che è quella del tweet. Il tweet è fatto
di 140 caratteri, oltre i quali cade la cesura e non è più possibile continuare; per
cui è uno sforzo di sintesi assoluta e, al tempo stesso, di incisività. Per questo
credo che sia una grande lezione anche per la comunicazione religiosa. E’ ciò che
noi stiamo facendo adesso, con un tweet tutti i giorni preso dalla Bibbia: sono 140
caratteri, qualche volta meno, che dicono però qualcosa, con l’invito di trasmetterlo
ad altri, di ramificarlo, come avviene spontaneamente nella rete.
D.
– La sfida è anche quella di non cadere nella superficialità, andando incontro a linguaggi
brevi …
R. – Certamente. Questa è l’altra faccia della medaglia: la
comunicazione per blog già è una comunicazione di sua natura molto semplificata, perché
si deve dare la notizia nella sua sostanza, se non altro perché se fai un lungo ragionamento
te lo trascrivono in pochi. Il tweet è ancora più breve e il rischio è appunto la
banalizzazione, l’eccesso di semplificazione. Quindi dovremo certamente tenerne conto.
Però, dall’altra parte, dobbiamo anche tener conto del fatto che ormai il linguaggio
della giovane generazione – purtroppo!, diciamo noi dell’antica generazione … - è
un linguaggio di sua natura prosciugato: non ammette le subordinate, procede per coordinate
decisive, quasi come fossero affermazioni di verità costanti. Ed è per questo che
bisognerà fare una lunga educazione per comunicare, come ci ricorda Benedetto XVI,
il più possibile la verità, cioè comunicare una sostanza, e non un’illusione. (gf)