Il Papa esorta i cristiani ad aiutare sempre di più i malati di Aids
Benedetto XVI invita i fedeli a pregare per il mese di luglio affinché "i cristiani
contribuiscano ad alleviare, specialmente nei Paesi più poveri, la sofferenza materiale
e spirituale degli ammalati di Aids": è questa l’intenzione generale affidata per
questo mese dal Papa all’Apostolato della preghiera. La questione dell’Hiv ha un aspetto
paradossale: dal punto di vista dei fatti, la Chiesa, attraverso le sue strutture,
si prende cura del 25% dei malati di Aids in tutto il mondo. In alcune zone africane
la percentuale arriva anche al 100%. Ma sul fronte mediatico, la comunità cattolica
riceve spesso molte accuse, nonostante la Chiesa in questo campo – ha ricordato con
decisione Benedetto XVI – faccia "più di tutti gli altri". Federico Piana ne
ha parlato con padre Giuseppe Bellucci, responsabile dell’Ufficio stampa della
Compagnia di Gesù a Roma ed esperto dell'argomento:
R. – Sappiamo
tutti molto bene quanto sia grave il flagello dell’Aids un po’ in tutto il mondo.
Se per esempio diamo uno sguardo alle statistiche, ci accorgiamo che il fenomeno è
veramente impressionante: ci sono delle stime delle Nazioni Unite che risalgono al
2007 ma parlano di 33 milioni di sieropositivi. Diciamo che nel frattempo, dal 2007
ad oggi, la situazione mondiale è peggiorata. Il primo continente ad essere colpito
è l’Africa, dove si parla di 25-28 milioni di sieropositivi. C’è ancora il messaggio
al popolo di Dio dei vescovi africani alla conclusione del Sinodo, che è anche molto
chiaro su questo tema e dice: “La Chiesa non è seconda a nessuno nella lotta contro
l’Aids e nella cura delle persone infette o contagiate da esso”. Se guardiamo in particolare
all’Africa la Chiesa è una delle prime organizzazioni che si è presa cura dei malati
di Aids. Grazie anche all’aiuto dei Paesi ricchi, le Chiese locali hanno potuto dare
l’avvio a una serie di attività di assistenza umana e cristiana ai malati. E’ chiaro
che l’assistenza non basta. C’è bisogno soprattutto di prevenzione, di educare al
rispetto per il valore sacro della vita e a una corretto approccio della sessualità.
Questo certamente è un compito molto grande di tutte le Chiese locali, a ogni livello,
da quello parrocchiale fino a quello diocesano.
D. – Inoltre, padre
Bellucci, bisogna dire che la sofferenza di questi malati è, sì, fisica ma molto spesso
anche spirituale…
R. – A questo proposito, vorrei sottolineare un aspetto
molto importante. I Gesuiti hanno fondato nel 2002 un’associazione, l’Ajan, e il padre
Michael Czerny – che è stato all’inizio il fondatore e fino a due anni fa ne è stato
anche il direttore – sottolinea con molta precisione che l’Aids non è solo una forma
di infezione o una malattia, ma per la Chiesa è soprattutto un problema culturale,
personale, familiare, sociale e spirituale. Ciò che la Chiesa riesce a fare – e come
cristiani dobbiamo essere fieri di poter fare questo – è trattare i malati nella loro
integralità e non semplicemente come malati: per esempio, un sieropositivo può rivolgersi
alla Chiesa per ricevere tutta una gamma di cure e di sostegno che si possono riassumere
nell’essere accettati come persone e incoraggiati a continuare a vivere una vita per
quanto è possibile piena, lunga, senza permettere che l’Aids sia una sentenza di morte.
D.
– Padre Bellucci, perché è importante in questo mese di luglio pregare come ha chiesto
il Papa all’apostolato della preghiera? Perché la preghiera è importante in questo
caso?
R. - La Chiesa crede nell’aiuto del Signore, per qualunque iniziativa.
Soprattutto quando si tratta di problemi gravi, noi sappiamo che non possiamo risolverli
soltanto con le forze umane. Credo che la prospettiva di fede sia una dimensione fondamentale
in tutti i campi. (bf)