Sud Sudan in festa per l'indipendenza: Messa solenne a Juba con l'inviato del Papa
Il Sud Sudan è in festa: dopo la cerimonia ufficiale che ieri a Juba ha sancito la
nascita del 54.mo Stato africano, oggi nella capitale del Paese è stata celebrata
una Messa solenne cui ha partecipato anche la delegazione inviata dal Papa, con a
capo il cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi. Lo stesso Benedetto XVI ha salutato
l’indipendenza del Sud Sudan augurando “pace e prosperità”. Da Juba, Alessia De
Luca.
L’arcivescovo
di Juba, mons. Paulino Lukudu Loro, l’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue,
inviato del Papa, e molti altri rappresentanti della Chiesa cattolica in Africa, hanno
partecipato oggi alla grande Messa nella cattedrale di Kator, a Juba, all’indomani
delle celebrazioni per l’indipendenza. Alla stessa ora, in tutte le diocesi del Paese
a maggioranza cristiana, campane a festa hanno accolto la Giornata del Ringraziamento
e del ricordo dei "martiri" uccisi nel lungo conflitto civile con il Nord. Per le
strade della capitale Juba, quasi deserta in questo giorno di festa, i manifesti e
gli striscioni allestiti per l’occasione testimoniano della giornata più importante
nella storia del popolo sud sudanese. Uno di questi recita: "da oggi, non siamo più
arabi di seconda categoria, ma africani di prima classe". I festeggiamenti per l’indipendenza
sono proseguiti, ieri, per quasi tutto il pomeriggio e la sera successivi alla celebrazione
che ha visto assieme, sul palco d’onore, l’ex nemico di Khartoum, Omar Hassan el-Beshir,
e il neo presidente del Sud Sudan indipendente, Salva Kiir Mayardit. Come primo gesto
dopo l’insediamento, quest’ultimo ha offerto un’amnistia ai gruppi armati che combattono
il suo governo, promettendo di portare la pace alle travagliate zone di confine con
il Nord. “Voglio rassicurare le popolazioni di Abiey, Blue Nile e Sud Kordofan che
non le abbiamo dimenticate”, ha detto. “Soffriamo e piangiamo con voi. Vi prometto
oggi che troveremo una pace giusta per tutti”.
Ma quali saranno le conseguenze
dell’indipendenza e le sfide che il Sud Sudan dovrà affrontare? Michele Raviart
lo ha chiesto al padre comboniano Giulio Albanese, direttore della rivista
delle Pontificie Opere Missionarie “Popoli e missione”:
R. - Finalmente
il popolo sudanese sperimenta l’agognato riscatto. Un atto dovuto, anche perché, in
fondo, è la storia a dirlo. Parliamo di popolazioni che, in questi anni, hanno sperimentato
pene davvero indicibili.
D. - Si tratta di un Paese molto ricco di risorse
ma anche povero economicamente…
R. - Il Sud Sudan è inferno e paradiso.
Da una parte è vero che manca di tutto: mancano le infrastrutture, la gente fa fatica
a sbarcare il lunario, si temono le cicliche carestie che ormai sono diventate fisiologiche
nel sistema sud-sudanese. Però è anche vera un’altra cosa, cioè che questa è una Repubblica
appena nata, con delle potenzialità che vanno al di là di ogni fantasia e immaginazione.
Innanzitutto per via dell’immenso bacino petrolifero, ma poi c’è un’altra considerazione
da fare: il Sud Sudan è attraversato dal lungo corso del fiume Nilo, ed il bacino
idrografico del Paese è importantissimo. Adesso bisognerà capire cosa farà il governo
di Juba: se si allineerà con Khartoum e con Il Cairo - e dunque rivendicherà i diritti
sulle acque che appartengono a trattati pre-coloniali - o se invece sosterrà quelle
che sono le istanze dei Paesi nella regione dei Grandi laghi, che chiedono una revisione
di quelli che erano gli accordi del passato.
D. - Quali sono i contenziosi
ancora aperti e qual è il futuro dei rapporti con Khartoum?
R. - Il
cammino è decisamente tutto in salita. Lungo la linea di faglia tra Nord e Sud ci
sono focolai di grandissima tensione, ma poi c’è anche il problema della contesa regione
di Abyei, che è piccola ma galleggia sul petrolio, e lì il referendum ad hoc non è
stato ancora celebrato, proprio perché vi sono delle divergenze tra le opposte fazioni.
Ma è chiaro che qui gli interessi in gioco sono legati all’oro nero.
D.
- Delle tensioni che quindi vanno oltre le differenze religiose tra Nord e Sud…
R.
- Il rischio grande è che il Nord abbia una connotazione islamica, mentre il Sud ne
avrebbe una di segno animista e cristiana. Ora, se la divisione viene percepita in
termini religiosi, si rischia davvero di fare dei disastri. Lo dico perché questa
sarebbe una grave mancanza di rispetto, soprattutto nei confronti delle minoranze
religiose presenti ad esempio nel Nord del Sudan. Non dimentichiamo infatti che a
Khartoum e dintorni c’è anche la comunità cattolica, presieduta dal cardinale arcivescovo
di Khartoum Gabriel Zubeir Wako. Credo che, in questa circostanza, non possiamo dimenticare
questi nostri fratelli e sorelle.
D. - La transizione politica nel Paese
sarà gestita dagli ex gruppi combattenti…
R. - Ora bisogna vedere se
gli ex ribelli rispetteranno le regole della democrazia e della partecipazione, anche
perché nel Sud Sudan c’è una notevole riottosità tra i gruppi etnici ed è importante
che la comunità internazionale - soprattutto Stati Uniti e Cina - vigili perché vengano
davvero rispettate le regole del gioco.
D. - Quali sono state le reazioni
della comunità africana alla nascita di un nuovo Stato?
R. - Nel contesto
della diplomazia africana, erano in molti a vedere questo progetto di secessione un
po’ come il fumo negli occhi, perché mette profondamente in discussione uno dei presupposti
di quello che è stato il panafricanesimo: non bisogna mettere in discussione le frontiere.
Quello che succede oggi ci conferma davvero il bisogno, l’istanza, da parte dei popoli
delle Afriche, di ridisegnare a modo loro - com’è d’altronde successo in Europa -
un nuovo assetto geopolitico. Alcuni governi - pensiamo ad esempio alla Repubblica
Democratica del Congo e alla Nigeria - sono chiaramente preoccupati di fronte a questo
scenario. Il rischio che in un futuro non lontano possano innescarsi meccanismi di
secessione all’interno di queste nazioni non è del tutto da escludere. (vv)