2011-07-10 15:14:07

Sud Sudan in festa per l'indipendenza: Messa solenne a Juba con l'inviato del Papa


Il Sud Sudan è in festa: dopo la cerimonia ufficiale che ieri a Juba ha sancito la nascita del 54.mo Stato africano, oggi nella capitale del Paese è stata celebrata una Messa solenne cui ha partecipato anche la delegazione inviata dal Papa, con a capo il cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi. Lo stesso Benedetto XVI ha salutato l’indipendenza del Sud Sudan augurando “pace e prosperità”. Da Juba, Alessia De Luca.RealAudioMP3

L’arcivescovo di Juba, mons. Paulino Lukudu Loro, l’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue, inviato del Papa, e molti altri rappresentanti della Chiesa cattolica in Africa, hanno partecipato oggi alla grande Messa nella cattedrale di Kator, a Juba, all’indomani delle celebrazioni per l’indipendenza. Alla stessa ora, in tutte le diocesi del Paese a maggioranza cristiana, campane a festa hanno accolto la Giornata del Ringraziamento e del ricordo dei "martiri" uccisi nel lungo conflitto civile con il Nord. Per le strade della capitale Juba, quasi deserta in questo giorno di festa, i manifesti e gli striscioni allestiti per l’occasione testimoniano della giornata più importante nella storia del popolo sud sudanese. Uno di questi recita: "da oggi, non siamo più arabi di seconda categoria, ma africani di prima classe". I festeggiamenti per l’indipendenza sono proseguiti, ieri, per quasi tutto il pomeriggio e la sera successivi alla celebrazione che ha visto assieme, sul palco d’onore, l’ex nemico di Khartoum, Omar Hassan el-Beshir, e il neo presidente del Sud Sudan indipendente, Salva Kiir Mayardit. Come primo gesto dopo l’insediamento, quest’ultimo ha offerto un’amnistia ai gruppi armati che combattono il suo governo, promettendo di portare la pace alle travagliate zone di confine con il Nord. “Voglio rassicurare le popolazioni di Abiey, Blue Nile e Sud Kordofan che non le abbiamo dimenticate”, ha detto. “Soffriamo e piangiamo con voi. Vi prometto oggi che troveremo una pace giusta per tutti”.

Ma quali saranno le conseguenze dell’indipendenza e le sfide che il Sud Sudan dovrà affrontare? Michele Raviart lo ha chiesto al padre comboniano Giulio Albanese, direttore della rivista delle Pontificie Opere Missionarie “Popoli e missione”:RealAudioMP3

R. - Finalmente il popolo sudanese sperimenta l’agognato riscatto. Un atto dovuto, anche perché, in fondo, è la storia a dirlo. Parliamo di popolazioni che, in questi anni, hanno sperimentato pene davvero indicibili.

D. - Si tratta di un Paese molto ricco di risorse ma anche povero economicamente…

R. - Il Sud Sudan è inferno e paradiso. Da una parte è vero che manca di tutto: mancano le infrastrutture, la gente fa fatica a sbarcare il lunario, si temono le cicliche carestie che ormai sono diventate fisiologiche nel sistema sud-sudanese. Però è anche vera un’altra cosa, cioè che questa è una Repubblica appena nata, con delle potenzialità che vanno al di là di ogni fantasia e immaginazione. Innanzitutto per via dell’immenso bacino petrolifero, ma poi c’è un’altra considerazione da fare: il Sud Sudan è attraversato dal lungo corso del fiume Nilo, ed il bacino idrografico del Paese è importantissimo. Adesso bisognerà capire cosa farà il governo di Juba: se si allineerà con Khartoum e con Il Cairo - e dunque rivendicherà i diritti sulle acque che appartengono a trattati pre-coloniali - o se invece sosterrà quelle che sono le istanze dei Paesi nella regione dei Grandi laghi, che chiedono una revisione di quelli che erano gli accordi del passato.

D. - Quali sono i contenziosi ancora aperti e qual è il futuro dei rapporti con Khartoum?

R. - Il cammino è decisamente tutto in salita. Lungo la linea di faglia tra Nord e Sud ci sono focolai di grandissima tensione, ma poi c’è anche il problema della contesa regione di Abyei, che è piccola ma galleggia sul petrolio, e lì il referendum ad hoc non è stato ancora celebrato, proprio perché vi sono delle divergenze tra le opposte fazioni. Ma è chiaro che qui gli interessi in gioco sono legati all’oro nero.

D. - Delle tensioni che quindi vanno oltre le differenze religiose tra Nord e Sud…

R. - Il rischio grande è che il Nord abbia una connotazione islamica, mentre il Sud ne avrebbe una di segno animista e cristiana. Ora, se la divisione viene percepita in termini religiosi, si rischia davvero di fare dei disastri. Lo dico perché questa sarebbe una grave mancanza di rispetto, soprattutto nei confronti delle minoranze religiose presenti ad esempio nel Nord del Sudan. Non dimentichiamo infatti che a Khartoum e dintorni c’è anche la comunità cattolica, presieduta dal cardinale arcivescovo di Khartoum Gabriel Zubeir Wako. Credo che, in questa circostanza, non possiamo dimenticare questi nostri fratelli e sorelle.

D. - La transizione politica nel Paese sarà gestita dagli ex gruppi combattenti…

R. - Ora bisogna vedere se gli ex ribelli rispetteranno le regole della democrazia e della partecipazione, anche perché nel Sud Sudan c’è una notevole riottosità tra i gruppi etnici ed è importante che la comunità internazionale - soprattutto Stati Uniti e Cina - vigili perché vengano davvero rispettate le regole del gioco.

D. - Quali sono state le reazioni della comunità africana alla nascita di un nuovo Stato?

R. - Nel contesto della diplomazia africana, erano in molti a vedere questo progetto di secessione un po’ come il fumo negli occhi, perché mette profondamente in discussione uno dei presupposti di quello che è stato il panafricanesimo: non bisogna mettere in discussione le frontiere. Quello che succede oggi ci conferma davvero il bisogno, l’istanza, da parte dei popoli delle Afriche, di ridisegnare a modo loro - com’è d’altronde successo in Europa - un nuovo assetto geopolitico. Alcuni governi - pensiamo ad esempio alla Repubblica Democratica del Congo e alla Nigeria - sono chiaramente preoccupati di fronte a questo scenario. Il rischio che in un futuro non lontano possano innescarsi meccanismi di secessione all’interno di queste nazioni non è del tutto da escludere. (vv)







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