Volontariato: i giovani del Vis nei Paesi più poveri con lo sguardo di Don Bosco
Il Vis, il volontariato internazionale salesiano, organizza da più di venti anni esperienze
formative estive rivolte ai giovani. Già dieci mila volontari hanno partecipato ai
progetti di cooperazione in Paesi Poveri, approfondendo la conoscenza di altre culture
e le cause della povertà e del sottosviluppo. L’esperienza estiva dura un mese, e
ogni anno coinvolge circa 300 persone e prevede un corso di formazione. Camilla
Spinelli ha sentito Gianluca Antonelli direttore generale del Vis:
R. – Quest’anno
il Vis, insieme all’Ispettoria salesiana Italia, ha organizzato esperienze estive
in Africa: in particolar modo in Sierra Leone, in Congo, in Angola, in Etiopia, in
Madagascar, in Gabon e in Camerun; in Europa dell’Est: in Russia, in Ucraina, in Moldavia
e in Romania; e in America Latina: in Brasile e in Bolivia. Esistono poi delle esperienze
di volontariato fatte in Italia, e parlo soprattutto dei quartieri degradati di Napoli
e di Santa Chiara a Palermo, che è un centro di accoglienza per profughi, rifugiati
e per immigrati.
D. – Quanto dura di solito l’esperienza?
R.
– L’esperienza dura un mese. Questi giovani procedono durante l’anno nel fare un cammino
di formazione. Noi le chiamiamo “scuole di mondialità”, proprio perché caratterizzate
da contenuti e tematiche relative alle realtà culturali che andranno ad essere toccate
nelle esperienze estive, nonché tematiche di carattere generale sullo sviluppo umano
e sostenibile, sulla cooperazione internazionale, sui diritti umani e la politica
internazionale. Esiste poi un cammino più formativo di tipo spirituale, perché si
cerca sempre di trovare un collegamento stretto tra gli aspetti spirituali dell’esperienza
e gli aspetti più formativi.
D. – Perciò, appunto, serve una specifica
preparazione anche per questo volontariato estivo...
R. – Assolutamente
sì. Un’esperienza estiva deve essere ben preparata, altrimenti non è utile. Si va
alla scuola dei poveri, ma andare alla scuola dei poveri presuppone un cammino di
formazione che faccia cogliere poi il senso vero dell’esperienza.
D.
– Secondo lei, che senso ha fare un’esperienza del genere per un giovane volontario?
R.
– Direi che è un’esperienza fondamentale. Quasi la stragrande maggioranza delle persone
che rientrano da queste esperienze estive normalmente dicono: “Eravamo andati per
dare, per fare qualcosa e, in realtà, siamo tornati con un animo e una forma mentis
arricchita”. Loro prendono più che dare, in questo tipo di esperienza. E penso che
nel cammino di un giovane sia fondamentale la possibilità di incontrare culture altre
e di aprirsi ad un concetto di cittadinanza mondiale e di cittadinanza attiva. (ap)