Sabato a Juba la cerimonia per l'indipendenza del Sud Sudan: aspettative e sfide ancora
aperte
Ci sarà anche il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, alla cerimonia per l'indipendenza
del Sud Sudan, che si terrà sabato a Juba. Nella nuova capitale, il numero uno del
Palazzo di Vetro – che nell’occasione incontrerà anche il futuro presidente sud sudanese,
Salva Kir – in un editoriale ha voluto ricordare che “lo status di nuova nazione è
arrivato a dei costi altissimi: 2 milioni di vite sono state perse e 4 milioni di
persone sono state allontanate dalle proprie case nel corso di una brutale guerra
civile che si è protratta per 21 anni, fino al 2005”. Nelle zone di confine tra il
Nord e il Sud Sudan rimangono poi irrisolte importanti questioni, come nell’Abyei,
zona contesa da entrambe le parti, e in Sud Kordofan, dove nelle ultime settimane
si sono scontrati gli eserciti di Khartoum e di Juba. Nell’imminenza del 9 luglio,
Giada Aquilino ha intervistato Fabrizio Cavalletti di Caritas Italiana,
organismo che aderisce alla Campagna italiana per il Sudan che ieri a Roma, assieme
alla Tavola della Pace, ha fatto il punto sulla situazione nel Paese africano:
R. – Questo
appuntamento non è una tappa d’arrivo per la costruzione della pace in Sudan ma è
una tappa intermedia, forse una tappa iniziale. Si è visto che in questo lungo periodo
di transizione - che ha seguito gli accordi di pace del 2005 e che doveva servire
proprio per mettersi d’accordo su varie questioni legate ai rapporti tra nord e sud,
ma anche tra nord, sud e il resto della regione - in realtà molte delle questioni
sono rimaste sul tavolo. Quindi sarà necessario un impegno da parte di tutti, a partire
dalle istituzioni sudanesi, ma anche della comunità internazionale, per sostenere
il percorso verso la pace. Inoltre, vogliamo lanciare un messaggio all’informazione,
ai mass media, affinché del Sudan in particolare e, direi, dell’Africa in generale
si parli di più.
D. - Quali sono le questioni irrisolte che adesso diventano
i problemi principali da affrontare per il nuovo Stato, il Sud Sudan?
R.
– Ne cito una su tutte: la definizione di confini precisi. Nel momento in cui c’è
una secessione, un’indipendenza di uno Stato da un altro, stabilire i confini è la
cosa fondamentale. Eppure ancora non c’è questa individuazione precisa dei confini
tra i due Paesi. Un’altra questione inoltre riguarda l’accordo su come utilizzare
le risorse di cui lo Stato è ricco: il petrolio ma anche l’acqua, in particolare quella
del Nilo. Poi, ci sono questioni legate ad alcuni Stati particolari, come l’Abyei,
che in questi giorni è teatro di conflitti e di violenze: gli accordi di pace prevedevano
un referendum per la definizione dello status di questa zona, che ancora non c’è stato.
D.
– Da parte di Khartoum e del presidente sudanese Omar Al Bashir quale tipo di impegno
c’è?
R. – In realtà Khartoum ha riconosciuto innanzitutto il risultato
del referendum del 9 gennaio e questo è molto importante. C’è l’impegno, almeno a
parole, a voler affrontare tali questioni in modo pacifico. Però ci sono anche manifestazioni
di violenza; in queste settimane abbiamo visto il governo di Khartoum militarizzare
alcune zone e bombardare.
D. – La Chiesa e le Caritas come sono impegnate
in questo processo?
R. – La Chiesa del Sudan è da sempre impegnata nel
rispondere ai bisogni della popolazione: è successo durante il periodo della guerra
e dopo. La Caritas, in particolare in questi ultimi anni e ancor più in questi ultimi
mesi, si è concentrata molto nel far fronte alle emergenze che ci sono state a causa
prima della guerra e poi delle carestie, e con la ripresa delle violenze, ma anche
per il referendum dello scorso gennaio e ora per la proclamazione dell’indipendenza.
C’è stato un grosso esodo dal nord al sud perché molta popolazione della parte meridionale
– che però viveva nella parte settentrionale - si è spostata; la Caritas e la Chiesa
del Sudan, in collaborazione con tutte le Caritas del mondo, tra cui anche Caritas
italiana, si sono subito mobilitate da agosto dell’anno scorso, per aiutare queste
persone e per assisterle nel loro esodo. Inoltre in questi anni si sono sviluppati
molti programmi, soprattutto sul tema dell’educazione, quindi per le scuole, e poi
anche progetti di sviluppo e di promozione socio-economica. Questi sono stati un po’
gli ambiti in cui abbiamo operato. Adesso lo sforzo è soprattutto quello di cercare
di sostenere la transizione verso la pace. (bf)