Il Sud Sudan verso il giorno dell'indipendenza: scontri e tensioni con il Nord
“Il Sudan tra guerra e pace”. È il titolo della conferenza stampa, svoltasi oggi a
Roma presso la Camera dei Deputati, organizzata da Campagna italiana per il Sudan
e Tavola della pace per fare il punto sul quadro politico del Paese africano, alla
vigilia - il prossimo 9 luglio - della proclamazione ufficiale dell’indipendenza del
Sud Sudan: il nuovo Stato diventerà il 54.mo del Continente africano. Dopo il referendum
del gennaio scorso, le ultime tensioni nella zona dell’Abyei, al centro di un’aspra
contesa tra Nord e Sud, e gli scontri armati tra i due eserciti - quello di Khartoum
e di Juba - in Sud Kordofan destano profonda preoccupazione per un “futuro stabile
e pacifico” dei due Paesi. Lo dicono gli operatori di Campagna italiana per il Sudan
e Tavola della pace, che ai lavori hanno presentato il dossier “Un nuovo Sudan: il
Sud”, in cui si sottolinea come l’appuntamento di sabato prossimo non sia un punto
d’arrivo, ma un momento intermedio di un processo di pace tutto da costruire. Sui
punti salienti del documento, Giada Aquilino ha intervistato Giovanni Sartor,
di Mani Tese, organizzazione che fa parte della Campagna italiana per il Sudan:
R. – Sono
due i punti da sottolineare. Il primo è che l’indipendenza del Sud Sudan, la formazione
di un nuovo Paese - la Repubblica del Sud Sudan - è un evento che ha in sé una complessità
molto elevata, che non è riconducibile o riducibile al fatto che le persone hanno
deciso liberamente di determinare il proprio futuro, costituendo un nuovo Stato. Le
sfide sono molte e minacciano la stabilità e la pace sia del Sud Sudan, il nuovo Stato,
sia anche del vecchio Stato che resterà il Sudan. Il secondo punto caratteristico
del dossier è che, pur parlando di Sud Sudan, abbiamo voluto paragonare le problematiche
che il nuovo Stato dovrà affrontare a delle situazioni del Nord, perché ci saranno
comunque delle ripercussioni molto significative: e questo spesso non viene ricordato.
D. - Quali ripercussioni ci potrebbero essere sul terreno, visto che
la situazione non è affatto pacificata in determinate zone?
R. - Sicuramente
la prima, che è sotto gli occhi di tutti, è che nelle zone di confine - sia a livello
del Nord Sudan, mi riferisco allo Stato del Sud Kordofan, sia a livello del Sud Sudan,
penso agli Stati di Unity e Warrap e poi all’Abyei, il cui status futuro non è ancora
definito e quindi resta lì sospeso tra parte settentrionale e parte meridionale -
sono in corso dei conflitti che stanno creando centinaia di vittime e migliaia di
sfollati. Questi conflitti sono legati al fatto che non sono stati risolti i problemi
di confine tra i due Paesi e che i due Stati stanno ora cercando di posizionarsi territorialmente
in maniera migliore, per poi sedersi ad un tavolo e discutere l’accordo.
D.
- Ci sono anche questioni economiche dietro tali tensioni?
R. - Sì,
sicuramente. Queste zone sono anche le regioni più ricche di petrolio e quindi chiaramente
discutere un posizionamento, anche di poche decine o centinaia di chilometri, può
voler dire che i pozzi petroliferi restano o nel Nord o nel Sud del Paese, facendo
intravedere a questa o quella parte la futura possibilità di sfruttamento delle risorse.
D. - Qual è l’auspicio per il Sud Sudan?
R. - Che la
comunità internazionale oltre che il governo del Sud e quello del Sudan - secondo
noi i tre attori principali - si impegnino a trovare un accordo che rispetti le esigenze
e le necessità di tutti, senza ricorrere all’uso della forza. Questo richiede certamente
da parte della comunità internazionale un grande impegno per sostenere il Sud Sudan
e la costituzione di una governance rispettosa dei diritti e delle libertà fondamentali
dei cittadini.
D. - Da parte di Khartoum quale impegno ci può essere?
R.
- L’impegno ad accettare, come è già stato fatto, l’indipendenza del Sud, ma anche
in qualche modo ad accettare e risolvere in maniera diversa i problemi della cittadinanza
dei sud sudanesi: pare, ad esempio, che dopo il 9 luglio chi lavora nel settore pubblico
verrà licenziato. Quindi si crea chiaramente un grande problema per i sud sudanesi
che vivono al Nord e che perderanno il loro lavoro. L’altra cosa è relativa alla Costituzione:
occorre garantire le libertà fondamentali, di espressione e di associazione; mi riferisco
al problema relativo alle libertà dei partiti di opposizione a poter lavorare, a poter
esprimere le proprie opinioni. Ecco, questo è fondamentale. (mg)