Bosnia-Erzegovina: per il cardinale Puljic nel Paese i cattolici sono una minoranza
tollerata
Una minoranza tollerata, più che accettata da una società una volta esempio di armonia
etnica e religiosa in cui la guerra ha fatto prevalere la logica dell’appartenenza
identitaria dell’etnia e della religione. È la fotografia della comunità cattolica
in Bosnia-Erzegovina oggi, quale emerge da una lunga intervista dell’agenzia Apic
al cardinale Vinko Puljic. Nel colloquio, l’arcivescovo di Sarajevo, elevato al cardinalato
da Giovanni Paolo II nel 1994 nel pieno dei bombardamenti della capitale bosniaca,
traccia un quadro con luci e molte ombre ancora, in cui non mancano accenti critici
anche alla comunità internazionale e in particolare all’Europa. La guerra – spiega
- ha profondamente modificato gli equilibri etnico-religiosi nel Paese balcanico a
vantaggio della comunità musulmana e a scapito soprattutto dei cattolici, per lo più
croati, a cui è stato impedito di tornare nelle proprie terre. Dagli 820mila censiti
nei primi anni ’90 oggi essi sono ridotti a circa 400mila, pari al 9% della popolazione,
più della metà della quale è musulmana e il 37% è serbo-ortodossa. La situazione della
comunità cattolica – dice il cardinale Puljic - riflette questi nuovi equilibri frutto
della pulizia etnica e sanciti dagli Accordi di Dayton del 1995. Se le relazioni intercomunitarie
sono migliori rispetto a 16 anni fa esse sono lungi dall’essere ottimali. I cattolici
– dice il cardinale Puljic – sono di fatto discriminati, sia sul piano politico, sia
nei vari ambiti della vita sociale. Così, costruire una chiesa oggi è molto più difficile
che costruire una moschea: le trafile burocratiche per ottenere i permessi di costruzione
sono molto lunghe. Inoltre, “quasi tutti i media sono in mano al governo e tutti i
giornali statali sono musulmani”, dice il porporato. “Noi non abbiamo una televisione,
ma solo un settimanale cattolico nazionale. Nella nostra arcidiocesi abbiamo tre mensili
e dall’8 dicembre scorso anche un’emittente radiofonica, “Radio Marija Bih””. Anche
i programmi scolastici risentono di questi nuovi equilibri. “I libri di storia – dice
l’arcivescovo di Sarajevo - affermano che i turchi che hanno conquistato il territorio
bosniaco nel XV secolo, non sono stati degli invasori, ma liberatori dall’oppressione
cristiana”. L’arrivo di fondamentalisti islamici stranieri durante la guerra ha contribuito
a radicalizzare l’Islam bosniaco tradizionalmente moderato, anche se il fenomeno è
ufficialmente negato dalle autorità. Non meno delicati i rapporti con i serbo-ortodossi
in cui – rileva il porporato – domina una visione molto nazionalista della religione.
Il recente arresto del generale Ratko Mladic non ha contribuito a placare gli animi
nella comunità serbo-bosniaca che lo considera un eroe. Nell’intervista il cardinale
Puljic non risparmia critiche alla comunità internazionale, in particolare all’Europa
a cui rimprovera gli Accordi di Dayton che hanno penalizzato i croati e di avere abbandonato
a se stessa la comunità cattolica. “L’Europa quando vede un cattolico non aiuta e
quando protestiamo veniamo trattati come nazionalisti croati!”, denuncia il porporato,
precisando che gli unici aiuti vengono da organizzazioni cattoliche internazionali
come “Renovabis”, ”Aiuto alla Chiesa che Soffre” (Acs), o associazioni cattoliche
e parrocchie italiane. (L.Z.)