Pakistan. Paul Bhatti: aiuti concreti e meno polemiche per aiutare
i cristiani
“Certo non sono contento dell’abolizione, ma i cristiani pakistani hanno bisogno di
appoggio e di aiuti concreti, al di là dell’esistenza di un ministero o meno”: così
Paul Bhatti, fratello di Shabhaz, e Consigliere speciale del primo Ministro sulle
questioni delle minoranze religiose, commenta oggi in una intervista all'agenzia Sir,
l’abolizione in Pakistan del Ministero federale per le minoranze religiose. Il provvedimento
decentrerà il Ministero alle cinque province pakistane, alle quali spetteranno tutte
le competenze. Il Ministero, creato nel 2008, era stato guidato da Shabhaz Bhatti,
ucciso il 2 marzo da integralisti islamici per la sua politica a difesa dei 20 milioni
di cristiani pakistani. “Materialmente il potere viene conferito alle province – spiega
Bhatti -. I cristiani non avranno più una voce centrale. Sono preoccupato per la situazione
generale, perché c’è bisogno di una pressione molto forte, anche a livello centrale
e internazionale”. Attualmente Bhatti sta seguendo due casi: quello di Farah, la ragazza
cattolica che dicono sia stata rapita, convertita e costretta a contrarre matrimonio
islamico nel Sud Punjab e di un’altra donna accusata di blasfemia. “Ma non ho ricevuto
nessun aiuto – denuncia Bhatti -, le sto aiutando con i soldi che ho messo da parte
in Italia. In Italia e in Europa si parla tanto di solidarietà ma quando si tratta
di finanziare progetti concreti nessuno ci aiuta. Non ha senso denunciare in Parlamento
e poi non fare nulla. Altrimenti diventa controproducente per tutti i cristiani in
Pakistan. I casi vengono esaltati e aumentano le violenze nei nostri confronti: hanno
ucciso mio fratello, possono uccidere anche a me”. Bhatti sottolinea: “Io non ho nessun
tornaconto personale a stare qui, ma se qualcuno mi promette un aiuto mi aspetto che
lo dia. Non ho ricevuto nulla. Ora i casi di blasfemia sono diventati dieci: serve
appoggio legale e sostegno alle famiglie, che hanno dovuto lasciare il paese perché
minacciati. Mi chiedono aiuti che non posso dare”. Sul caso di Asia Bibi confida:
“Più silenzio c’è sul caso, meglio è. So che non è accettabile per il pensiero democratico
occidentale, ma così è. Per evitare altre vittime bisogna fare attenzione: se la gente
ci vuole aiutare veramente non deve esaltare i casi, ma aiutarci silenziosamente e
in concreto attraverso i canali giusti, dialogando con noi e con i diretti interessati”.
(M.G.)