Oggi, Pechino è teatro delle celebrazioni per il 90.mo anniversario della nascita
del Partito comunista cinese. Sviluppo economico, stabilità e armonia, ma nessuna
apertura al multipartitismo: questo, in sintesi, è stato il contenuto del discorso
fatto per l’occasione da Hu Jintao, segretario del partito, che oggi si trova alle
prese con le crescenti istanze democratiche. Ma come è cambiato il Partito comunista
cinese in 90 anni densi di avvenimenti epocali, sia per Pechino che per il mondo?
Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Francesco Sisci, corrispondente in
Cina per il quotidiano “La Stampa”:
R. - Il Partito
comunista cinese, come hanno sottolineato queste celebrazioni di oggi, è molto più
cinese e molto poco comunista, nel senso che l’elemento di pragmatismo del partito
è estremamente forte. Una cosa per esempio che brillava per assenza nel discorso del
segretario del partito, Hu Jintao, oggi alla sezione plenaria, era una definizione:
una spiegazione su cosa sia il socialismo o il comunismo. Il discorso era in realtà
tutto incentrato sulla guida del Paese, sulla proiezione del Paese verso la prosperità
e l’annuncio che per il centenario della fondazione della Repubblica Popolare, nel
2049, la Cina sarà un Paese prospero e democratico.
D. - Quello cinese
è uno degli ultimi Partiti-Stato che deve fare i conti con l’aumento dell’istanza
di democrazia e quindi anche di aspetti più spirituali...
R. - Certo,
l’aspetto religioso in generale è un elemento crescente: ci sono le Chiese cristiane,
ci sono i cattolici, ci sono i buddisti, ci sono spiritualità che per lunghi decenni
sono state soppresse e invece adesso stanno tornando a vivere. Non c’è, rispetto al
passato, una soppressione sistematica di queste fedi, anche se questo non esclude
che vi siano delle occasioni per delle repressioni ad hoc. (ma)