2011-07-01 11:45:06

IL CINEMA AFRICANO ATTRAVERSO I FESTIVAL EUROPEI


Il cinema africano è molto presente in Europa, attraverso festival organizzati in diversi Paesi per dare visibilità ai registi e, più in generale, alle produzioni che parlano del continente. Ne ricordiamo due per l’anno in corso: il festival italiano di Milano, che ha avuto luogo dal 21 al 27 marzo, e quello organizzato nella città spagnola di Tarifa, dall’11 al 19 giugno.

In quale modo tali appuntamenti contribuiscono allo sviluppo del cinema africano?
La questione non può essere compresa appieno senza tener conto del contesto africano e delle specifiche sfide cinematografiche. Sebbene ancora relativamente giovane, la produzione locale risulta molto dinamica. Si usa ricondurne la nascita al periodo della decolonizzazione, durante gli anni ’60. Alcuni film erano stati precedentemente realizzati in Sudafrica (all’inizio del Ventesimo secolo) e in Tunisia (intorno al 1920), ma non si trattava in questo caso di opere a firma africana. I senegalesi Sembene Ousmane, Djibril Diop Mamberty e Paulin Soumanou Vieyra (che è beninese di nascita), i nigerini Oumarou Ganda e Lassane Moustapha possono essere considerati alcuni dei registi pionieri africani. Nel 1969 veniva istituito in Burkina Faso il FESPACO, il Festival panafricano del cinema e della televisione di Ouagadougou, che testimonia lo slancio ed il successo immediato della cinematografia nel continente. Numerose città si sono inoltre dotate, nel corso degli anni, di sale cinematografiche, che proiettavano anche film prodotti negli altri continenti.

Purtroppo, la crisi politica e socio-economica che attraversa oggi vari Stati del mondo ha conseguenze nefaste sulla produzione artistica. Il business cinematografico segue logiche molto complesse e non è semplice per la seconda generazione di autori, le odierne stelle degli schermi africani, inserirsi nei circuiti internazionali, caratterizzati da costi di produzione molto elevati. Nell’insieme, i cineasti lamentano un sistema di produzione interno al continente ormai moribondo, a causa della mancanza di infrastrutture e di mezzi di diffusione. Del resto, il circuito della distribuzione rappresenta un passaggio essenziale per il cinema: le opere « esistono » ed assumono un significato solo nel momento in cui vengono « scoperte » e sottoposte al pubblico. Non a caso, il principale scopo dei film è proprio quello di educare le persone, influenzare le strutture mentali, gli schemi sociologici, politici e filosofici di una società.
Nella maggior parte delle metropoli africane le sale cinematografiche sono state chiuse o destinate ad usi più lucrativi. I governi attribuiscono poca importanza ai film che, di conseguenza, sono spesso più conosciuti all’estero che nel continente stesso. Molti autori migrano allora verso i Paesi europei, dove sperano di beneficiare di agevolazioni e infrastrutture migliori, che consentano loro di vivere delle proprie opere.

Questo spiega l’importanza sempre maggiore attribuita ai vari festival che hanno luogo nel Vecchio Continente, in quanto momenti di festa e di incontro interculturale per esperti africani, europei e di tutto il mondo. Proprio attraverso questi canali spesso si innescano meccanismi di cooperazione culturale, appoggiati anche dai grandi organismi internazionali. I protagonisti della scena culturale africana hanno inoltre occasione di ottenere visibilità, di incontrare partner e distributori. Attraverso il cinema, allora, l’Africa si apre maggiormente al mondo esterno, in un rapporto di conoscenza ed arricchimento reciproci.
Tuttavia, i network internazionali non costituiscono una soluzione definitiva ai mali che logorano il cinema africano. Sarebbe necessaria una chiara volontà politica per rilanciare l’intero sistema culturale, per sostenere il finanziamento di parte delle opere e delle strutture atte a facilitarne la distribuzione. I canali mediatici pubblici, come la televisione, potrebbero assorbire una parte della produzione e, a livello continentale, l’Unione Africana dovrebbe contribuire a rafforzare infrastrutture complementari di sostegno ai sistemi nazionali, come già fatto dall’Unione Europea.
Dal canto loro, gli stessi operatori del cinema africano dovranno adottare strategie per lavorare in sinergia, elaborare nuove forme al fine di avvicinare il cinema alla società, interpretare i film come rappresentazioni popolari e percepirli anche come canali di espressione per le istanze che vengono dal basso. Solo in questo modo il mercato locale sarà in grado di mantenersi in attivo e salvaguardare il rapporto dei registi africani con il rispettivo contesto d’origine.

Come abbiamo avuto la fortuna di scoprire anche grazie ai vari festival europei, il continente continua a produrre talenti eccezionali. Ma è necessario ripensare con urgenza l’avvenire del cinema africano ed il sistema di produzione interno, alla luce degli importanti strumenti offerti dalla rivoluzione digitale. I ridotti costi di produzione, resi possibili grazie al progresso tecnologico, consentiranno di aprire il cinema locale al grande pubblico. D’altra parte, è importante che l’aspetto commerciale non prenda il sopravvento sui contenuti. Il pericolo è che il cinema africano diventi un prodotto di propaganda dell’Africa nel mondo, che miri a soddisfare il desiderio del pubblico, più che a riflettere le sfide originarie e originali del continente.

(A cura di P. Jean-Pierre BODJOKO, SJ, responsabile dell’ufficio di Promozione dell’Africa della Radio Vaticana)







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