Il cinema africano è molto presente in Europa, attraverso festival organizzati in
diversi Paesi per dare visibilità ai registi e, più in generale, alle produzioni che
parlano del continente. Ne ricordiamo due per l’anno in corso: il festival italiano
di Milano, che ha avuto luogo dal 21 al 27 marzo, e quello organizzato nella città
spagnola di Tarifa, dall’11 al 19 giugno.
In quale modo tali appuntamenti
contribuiscono allo sviluppo del cinema africano? La questione non può essere
compresa appieno senza tener conto del contesto africano e delle specifiche sfide
cinematografiche. Sebbene ancora relativamente giovane, la produzione locale risulta
molto dinamica. Si usa ricondurne la nascita al periodo della decolonizzazione, durante
gli anni ’60. Alcuni film erano stati precedentemente realizzati in Sudafrica (all’inizio
del Ventesimo secolo) e in Tunisia (intorno al 1920), ma non si trattava in questo
caso di opere a firma africana. I senegalesi Sembene Ousmane, Djibril Diop Mamberty
e Paulin Soumanou Vieyra (che è beninese di nascita), i nigerini Oumarou Ganda e Lassane
Moustapha possono essere considerati alcuni dei registi pionieri africani. Nel 1969
veniva istituito in Burkina Faso il FESPACO, il Festival panafricano del cinema e
della televisione di Ouagadougou, che testimonia lo slancio ed il successo immediato
della cinematografia nel continente. Numerose città si sono inoltre dotate, nel corso
degli anni, di sale cinematografiche, che proiettavano anche film prodotti negli altri
continenti.
Purtroppo, la crisi politica e socio-economica che attraversa oggi
vari Stati del mondo ha conseguenze nefaste sulla produzione artistica. Il business
cinematografico segue logiche molto complesse e non è semplice per la seconda generazione
di autori, le odierne stelle degli schermi africani, inserirsi nei circuiti internazionali,
caratterizzati da costi di produzione molto elevati. Nell’insieme, i cineasti lamentano
un sistema di produzione interno al continente ormai moribondo, a causa della mancanza
di infrastrutture e di mezzi di diffusione. Del resto, il circuito della distribuzione
rappresenta un passaggio essenziale per il cinema: le opere « esistono » ed assumono
un significato solo nel momento in cui vengono « scoperte » e sottoposte al pubblico.
Non a caso, il principale scopo dei film è proprio quello di educare le persone, influenzare
le strutture mentali, gli schemi sociologici, politici e filosofici di una società. Nella
maggior parte delle metropoli africane le sale cinematografiche sono state chiuse
o destinate ad usi più lucrativi. I governi attribuiscono poca importanza ai film
che, di conseguenza, sono spesso più conosciuti all’estero che nel continente stesso.
Molti autori migrano allora verso i Paesi europei, dove sperano di beneficiare di
agevolazioni e infrastrutture migliori, che consentano loro di vivere delle proprie
opere.
Questo spiega l’importanza sempre maggiore attribuita ai vari festival
che hanno luogo nel Vecchio Continente, in quanto momenti di festa e di incontro interculturale
per esperti africani, europei e di tutto il mondo. Proprio attraverso questi canali
spesso si innescano meccanismi di cooperazione culturale, appoggiati anche dai grandi
organismi internazionali. I protagonisti della scena culturale africana hanno inoltre
occasione di ottenere visibilità, di incontrare partner e distributori. Attraverso
il cinema, allora, l’Africa si apre maggiormente al mondo esterno, in un rapporto
di conoscenza ed arricchimento reciproci. Tuttavia, i network internazionali non
costituiscono una soluzione definitiva ai mali che logorano il cinema africano. Sarebbe
necessaria una chiara volontà politica per rilanciare l’intero sistema culturale,
per sostenere il finanziamento di parte delle opere e delle strutture atte a facilitarne
la distribuzione. I canali mediatici pubblici, come la televisione, potrebbero assorbire
una parte della produzione e, a livello continentale, l’Unione Africana dovrebbe contribuire
a rafforzare infrastrutture complementari di sostegno ai sistemi nazionali, come già
fatto dall’Unione Europea. Dal canto loro, gli stessi operatori del cinema africano
dovranno adottare strategie per lavorare in sinergia, elaborare nuove forme al fine
di avvicinare il cinema alla società, interpretare i film come rappresentazioni popolari
e percepirli anche come canali di espressione per le istanze che vengono dal basso.
Solo in questo modo il mercato locale sarà in grado di mantenersi in attivo e salvaguardare
il rapporto dei registi africani con il rispettivo contesto d’origine.
Come
abbiamo avuto la fortuna di scoprire anche grazie ai vari festival europei, il continente
continua a produrre talenti eccezionali. Ma è necessario ripensare con urgenza l’avvenire
del cinema africano ed il sistema di produzione interno, alla luce degli importanti
strumenti offerti dalla rivoluzione digitale. I ridotti costi di produzione, resi
possibili grazie al progresso tecnologico, consentiranno di aprire il cinema locale
al grande pubblico. D’altra parte, è importante che l’aspetto commerciale non prenda
il sopravvento sui contenuti. Il pericolo è che il cinema africano diventi un prodotto
di propaganda dell’Africa nel mondo, che miri a soddisfare il desiderio del pubblico,
più che a riflettere le sfide originarie e originali del continente.
(A
cura di P. Jean-Pierre BODJOKO, SJ, responsabile dell’ufficio di Promozione dell’Africa
della Radio Vaticana)