2011-06-29 12:37:09

La Santa Sede all'Aiea: Fukushima insegna che il nucleare ha bisogno di una "cultura dell'incolumità"


Lo sviluppo della tecnologia nucleare ha bisogno di uno sviluppo parallelo di una “cultura di sicurezza e incolumità”, non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche “nella coscienza pubblica in generale”. È quanto ha affermato il rappresentante vaticano intervenuto alla Conferenza ministeriale dell’Aiea, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, svoltasi nei giorni scorsi a Vienna. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

Lo spettro della catastrofe della centrale giapponese di Fukushima ha aleggiato sui partecipanti alla recente Conferenza dell’Aiea, dettando l'agenda dei lavori e in particolare la riflessione del rappresentante vaticano, intervenuto per rendere noto il parere della Santa Sede su quello che ha definito “un problema globale”. La crisi innescata a Fukushima dal sisma e dallo tsunami e soprattutto le sue drammatiche conseguenze, dovute alla contaminazione radioattiva di persone, animali, acqua e terra richiede – ha affermato anzitutto l’esponente vaticano – che le autorità impegnate nella crisi nucleare in Giappone procedano con la “massima trasparenza” e “in stretta cooperazione con l’Aiea”. Tuttavia, ha proseguito, il disastro solleva numerose domande. “È legittimo – si è chiesto – costruire o conservare reattori nucleari operativi su territori che sono esposti a gravi rischi sismici?”. E ancora: “La tecnologia di fissione nucleare o la costruzione di nuove centrali atomiche o l’attività costante di quelle esistenti escludono l’errore umano nelle loro fasi di elaborazione, di funzionamento normale o d’emergenza?”. C’è poi la questione dello smantellamento dei reattori nucleari obsoleti che pone ulteriori domande: che ne sarà del materiale nucleare? Cosa e chi sarà sacrificato? Il problema di cosa fare con i rifiuti radioattivi viene semplicemente scaricato sulle spalle delle generazioni future? Gli Stati sono disposti ad adottare nuovi livelli di sicurezza e incolumità? Se è così, chi li controllerà? Domande cruciali dalle quali, ha osservato con realismo il delegato pontificio, discende una considerazione ineludibile e cioè che “senza trasparenza, sicurezza e incolumità non si possono perseguire con diligenza assoluta”. Anche perché, ha soggiunto, “un rischio nucleare pari a zero a livello mondiale è impossibile, considerando che esistono ancora armi nucleari e centrali nucleari attive che devono essere gestite”.

Poiché in gioco vi sono esigenze di massima priorità per ogni essere umano – come la tutela dell’ambiente dall’inquinamento, il rischio di perdita della biodiversità, gli effetti del cambiamento climatico legato alle emissioni di gas a effetto serra e tutto ciò che questo, nel lungo periodo, può avere sulla sicurezza alimentare – il rappresentante della Santa Sede ha invitato Stati e governi a studiare politiche di intervento non solo a livello tecnico ma anche “culturale ed etico”. “Se, nel breve periodo – ha affermato – misure tecniche e legali sono necessarie per la protezione di materiale e di siti nucleari, nonché per la prevenzione di atti di terrorismo nucleare, i cui eventuali effetti devastanti sono veramente difficili da immaginare, allora, sul lungo periodo, sono necessarie anche misure di prevenzione, misure che penetrino nelle più profonde radici culturali e sociali”. “Assolutamente necessari” per la Santa Sede sono dunque “programmi di formazione per la diffusione di una ‘cultura di sicurezza e incolumità’ sia nel settore nucleare sia nella coscienza pubblica in generale”. Con un “ruolo speciale” riservato a dei “codici comportamentali” precisi nel settore nucleare, che alzino al massimo grado la consapevolezza sui “possibili effetti” dell’attività di chi opera nel settore. “La sicurezza – ha chiosato il rappresentante vaticano – dipende dallo Stato, ma soprattutto dal senso di responsabilità di ogni persona”.







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