La Santa Sede all'Aiea: Fukushima insegna che il nucleare ha bisogno di una "cultura
dell'incolumità"
Lo sviluppo della tecnologia nucleare ha bisogno di uno sviluppo parallelo di una
“cultura di sicurezza e incolumità”, non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche
“nella coscienza pubblica in generale”. È quanto ha affermato il rappresentante vaticano
intervenuto alla Conferenza ministeriale dell’Aiea, l’Agenzia internazionale dell’energia
atomica, svoltasi nei giorni scorsi a Vienna. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Lo spettro
della catastrofe della centrale giapponese di Fukushima ha aleggiato sui partecipanti
alla recente Conferenza dell’Aiea, dettando l'agenda dei lavori e in particolare la
riflessione del rappresentante vaticano, intervenuto per rendere noto il parere della
Santa Sede su quello che ha definito “un problema globale”. La crisi innescata a Fukushima
dal sisma e dallo tsunami e soprattutto le sue drammatiche conseguenze, dovute alla
contaminazione radioattiva di persone, animali, acqua e terra richiede – ha affermato
anzitutto l’esponente vaticano – che le autorità impegnate nella crisi nucleare in
Giappone procedano con la “massima trasparenza” e “in stretta cooperazione con l’Aiea”.
Tuttavia, ha proseguito, il disastro solleva numerose domande. “È legittimo – si è
chiesto – costruire o conservare reattori nucleari operativi su territori che sono
esposti a gravi rischi sismici?”. E ancora: “La tecnologia di fissione nucleare o
la costruzione di nuove centrali atomiche o l’attività costante di quelle esistenti
escludono l’errore umano nelle loro fasi di elaborazione, di funzionamento normale
o d’emergenza?”. C’è poi la questione dello smantellamento dei reattori nucleari obsoleti
che pone ulteriori domande: che ne sarà del materiale nucleare? Cosa e chi sarà sacrificato?
Il problema di cosa fare con i rifiuti radioattivi viene semplicemente scaricato sulle
spalle delle generazioni future? Gli Stati sono disposti ad adottare nuovi livelli
di sicurezza e incolumità? Se è così, chi li controllerà? Domande cruciali dalle quali,
ha osservato con realismo il delegato pontificio, discende una considerazione ineludibile
e cioè che “senza trasparenza, sicurezza e incolumità non si possono perseguire con
diligenza assoluta”. Anche perché, ha soggiunto, “un rischio nucleare pari a zero
a livello mondiale è impossibile, considerando che esistono ancora armi nucleari e
centrali nucleari attive che devono essere gestite”.
Poiché in gioco
vi sono esigenze di massima priorità per ogni essere umano – come la tutela dell’ambiente
dall’inquinamento, il rischio di perdita della biodiversità, gli effetti del cambiamento
climatico legato alle emissioni di gas a effetto serra e tutto ciò che questo, nel
lungo periodo, può avere sulla sicurezza alimentare – il rappresentante della Santa
Sede ha invitato Stati e governi a studiare politiche di intervento non solo a livello
tecnico ma anche “culturale ed etico”. “Se, nel breve periodo – ha affermato – misure
tecniche e legali sono necessarie per la protezione di materiale e di siti nucleari,
nonché per la prevenzione di atti di terrorismo nucleare, i cui eventuali effetti
devastanti sono veramente difficili da immaginare, allora, sul lungo periodo, sono
necessarie anche misure di prevenzione, misure che penetrino nelle più profonde radici
culturali e sociali”. “Assolutamente necessari” per la Santa Sede sono dunque “programmi
di formazione per la diffusione di una ‘cultura di sicurezza e incolumità’ sia nel
settore nucleare sia nella coscienza pubblica in generale”. Con un “ruolo speciale”
riservato a dei “codici comportamentali” precisi nel settore nucleare, che alzino
al massimo grado la consapevolezza sui “possibili effetti” dell’attività di chi opera
nel settore. “La sicurezza – ha chiosato il rappresentante vaticano – dipende dallo
Stato, ma soprattutto dal senso di responsabilità di ogni persona”.