Il Sudan attende l'arrivo dei caschi blu. L'appello di mons. Mangoria: si torni subito
alla pace
In Sudan, un appello per una pace immediata è arrivato oggi dal vescovo ausiliare
di El Obeid, mons. Michael Didi Adgum Mangoria. E ieri il Consiglio di sicurezza dell’Onu
ha deciso di inviare 4200 caschi blu nella regione petrolifera di Abyei, contesa tra
il governo di Khartoum e il sud del Paese, che il 9 luglio dichiarerà la sua indipendenza.
Sulla portata storica e simbolica di questa scadenza, Davide Maggiore ha intervistato
il professor Pierluigi Valsecchi, docente di Storia dell’Africa all’Università
di Pavia:
R. – Il Sud
Sudan è la prima nazione africana che nasce in confini diversi da quella che era stata
una colonia europea. Tutti gli altri Paesi africani ripercorrono i confini di ex colonie
europee. Un elemento ripreso nella carta fondativa dell’organizzazione dell’Unità
africana per evitare una serie di processi conflittuali, che si erano aperti al momento
dell’indipendenza, però il processo che ha condotto questo Paese all’indipendenza
si è realizzato attraverso un accordo di compromesso.
D. - Quali sono
le poste in gioco più importanti nella contesa tra i due nuovi Stati?
R.
- Ci sono problemi geopolitici legati agli equilibri in tutta questa grande regione,
nel Corno d’Africa, dell’Africa orientale. Ci sono poi altre poste importanti. Un
problema che si sta ponendo già ora è quello relativo ai confini fra i due nuovi Paesi.
Il confine fra sud e nord non è tanto una linea dritta quanto un’area di transizione
abitata da gruppi o favorevoli all’aggregazione con il nuovo Stato del Sud, oppure
a mantenere il rapporto col nord. Non dimentichiamo che queste aree sono comunque
aree petrolifere e effettivamente anche la definizione del confine può determinare
il controllo di porzioni importanti della risorsa petrolifera da parte del nord o
del sud.
D. - Il governo di Khartoum dopo la secessione sarà più forte
o più debole?
R. – L’indipendenza della parte meridionale del Paese
mette in discussione tutta la realtà nazionale sudanese quale entità statuale omogenea,
con una forma di equilibrio che dopo l’indipendenza del Sud non venga ridiscusso anche
nelle altre componenti del Paese. Tutto dipenderà da come effettivamente il Sudan
riuscirà ad affrontare questo colpo alla dimensione e all’immagine nazionale. Per
certi aspetti, la secessione del Sud può contribuire a una definizione di maggiore
omogeneità del resto del Paese.
D. – Quali sfide dovrà affrontare il
neonato governo sudista?
R. – Il Paese che nasce è un Paese relativamente
marginale, piccolo, debole: non ha sbocco al mare, controlla una risorsa importante
come il petrolio il cui sfruttamento però sfugge quasi completamente alla struttura
del neonato Stato del Sud Sudan. Si è andato definendo in contrapposizione al Nord,
ma contrapposizioni di tipo etnico regionali sono molto forti.
D. –
C’è il rischio, viste le tensioni delle ultime settimane, che tra Nord e Sud riesploda
il conflitto armato?
R. – Apparentemente, nelle zone di frontiera è
già in atto, se non altro un consolidamento delle opposizioni. E’ uno di quei focolai
di tensione che non possono non chiamare in causa il rapporto fra i due Stati anche
in maniera conflittuale.(bf)