Siria: centinaia di civili in fuga in Turchia, dopo l’offensiva scatenata dalle
truppe di Damasco nei villaggi al confine
Non si allenta la tensione tra la Siria e la comunità internazionale. Alle nuove sanzioni
che starebbe per varare l’Unione Europea, Damasco ha risposto rompendo ogni rapporto
con Bruxelles. Situazione sempre più critica, intanto, alla frontiera con la Turchia
sulla quale premono i profughi siriani, incalzati dai reparti corazzati dell’esercito.
Il servizio di Marco Guerra:
Questa mattina,
oltre 600 siriani sono entrati in Turchia, nel giro di poche ore, in seguito ai movimenti
di truppe e carri dell’esercito siriano fra i villaggi a campi profughi a ridosso
del confine, dove migliaia di civili si erano rifugiati nelle scorse settimane per
fuggire alla repressione delle proteste. Il villaggio di Khirbet al-Joz, secondo testimoni,
sarebbe stato preso letteralmente d’assalto dai reparti militari siriani. Ma la tensione
ha toccato il culmine quando i blindati di Damasco sono arrivati a meno di un chilometro
dal confine. I profughi in fuga sono comunque riusciti a varcare la frontiera, per
poi avanzare in territorio turco lungo la strada utilizzata dalle guardie di confine
di Ankara. Immediato l’intervento della polizia paramilitare turca che, con alcuni
minibus, ha scortato i rifugiati verso la tendopoli della Mezzaluna Rossa che già
accoglie oltre 10 mila siriani. Dalla parte turca del confine, i militari hanno inoltre
piazzato sacchi di sabbia e binocoli per monitorare la situazione, oltre ad issare
una gigantesca bandiera turca sulla sommità di una collina. E l’arrivo di profughi
dalla Siria viene segnalato anche in Libano. Fonti della municipalità di Wadi Khaled,
zona di frontaliera libanese, parlano di oltre 200 arrivi nelle ultime 24 ore.
Libia “Sono
con le spalle al muro, ma non temo la morte”. Per la prima volta Gheddafi, in tv,
ammette di essere in difficoltà, ma sottolinea pure che la battaglia contro l'Occidente
proseguirà fino nell'aldilà. E mentre il segretario generale della Nato, Rasmussen,
ha annunciato il proseguimento dei raid, Francia e Gran Bretagna si dicono contrarie
alla proposta italiana di uno stop umanitario delle ostilità, con la creazione di
corridoi che consentano di portare aiuti alla popolazione.
Tunisia, Ben
Ali La magistratura tunisina è alla ricerca dei beni portati all’estero dall’ex
presidente, Ben Ali, e rogatorie internazionali in questo senso sono state avviate
con 25 Paesi. Lo scopo della Commissione governativa che lavora sull’argomento è quello
di recuperare e restituire al Paese il "tesoro" accumulato in 23 anni dall’ex capo
di Stato e dal clan familiare della moglie, Leila Trabelsi. Le stime diffuse nelle
scorse settimane avevano indicato in circa 10 miliardi di euro il valore dei beni
accumulati dall’ex presidente e dai Trabelsi. Sulla stampa locale, continuano intanto
a diffondersi indiscrezioni sul materiale ritrovato in un presunto archivio segreto
della passata amministrazione tunisina, scoperto in un palazzo di Parigi.
Afghanistan:
Obama annuncia l’inizio del ritiro delle truppe Usa Gli stati Uniti inizieranno
un graduale ritiro dall’Afghanistan: lo ha annunciato in televisione il presidente,
Barack Obama, specificando che saranno 10 mila, sugli attuali 100 mila, i militari
che lasceranno il Paese asiatico entro l’anno. Il discorso è stato accolto con scetticismo
dai talebani e con favore dal presidente afghano, Hamid Karzai. Ce ne riferisce Davide
Maggiore:
Saranno
complessivamente 33 mila i soldati coinvolti dal ritiro entro l’estate del 2012 e
il numero totale degli effettivi statunitensi sul terreno scenderà a 25 mila due anni
più tardi, quando il controllo del paese passerà completamente agli afghani. Il disimpegno,
ha spiegato Obama, può iniziare “in posizione di forza” perché più di metà dei leader
di al-Qaeda sono stati “neutralizzati”. Continuerà comunque l’impegno per rafforzare
il governo afghano, anche attraverso il dialogo con quei talebani disposti a rompere
con la rete terroristica. Il ritiro sarà accelerato rispetto a quanto suggerito dal
comandante sul campo, il generale Petraeus: la Casa Bianca viene così incontro all’opinione
pubblica interna, ma anche alle richieste di tagli alle spese dell’opposizione repubblicana.
E il presidente afghano Karzai ha detto di considerare l’iniziativa americana “una
buona misura” per entrambi i Paesi. Ostili invece le repliche dei talebani, che hanno
definito “simbolica” la riduzione della presenza militare e confermato che la guerra
continuerà fino al completo ritiro straniero. Intanto, dopo il discorso di Obama,
anche la Francia ha annunciato un graduale disimpegno dalla guerra, con un calendario
simile a quello di Washington.
Bahrein Cresce la tensione in
Barhein. Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per la repressione avviata
dai vertici del Paese nei confronti dell’opposizione. Washington ha puntato il dito
contro la severità delle sentenze – emesse peraltro da una corte militare – che ieri
hanno condannato otto esponenti dell’opposizione all’ergastolo per aver ordito un
complotto contro lo Stato.
Yemen “Una transizione immediata, pacifica
e ordinata” è “nell’interesse del popolo dello Yemen”. Lo ha detto il sottosegretario
di Stato americano per il Medio Oriente, Jeffrey Feltman. Secondo l’esponente del
governo statunitense, il presidente yemenita Saleh – ricoverato dal 4 giugno in Arabia
Saudita dopo essere stato ferito in un attacco al suo palazzo – “non tornerà presto
nel Paese”. Si aggrava intanto il bilancio della maxi-evasione di militanti di al-Qaeda
da un carcere nel sud: sarebbero 62 i detenuti che sono riusciti a fuggire: due di
loro sono stati poi catturati, e altri tre sono morti dopo uno scontro a fuoco con
le forze di sicurezza.
Colloqui India-Pakistan Nuovo round di colloqui
tra India e Pakistan, nell'ambito del lungo processo di pace tra i due Paesi. Al centro
della due giorni di incontri, al via oggi a Islamabad, questioni legate alla sicurezza,
alla lotta al terrorismo e all'annosa disputa sul Kashmir, la regione himalayana contesa.
Cina L’artista
e dissidente cinese, Ai Weiwei, è stato rilasciato ieri a Pechino, dopo una detenzione
di oltre due mesi seguita ad un'accusa di evasione fiscale. Dopo il pagamento di una
cauzione e – sembra – dopo aver promesso di ripagare le tasse evase, l’uomo è ora
in “residenza sorvegliata”, hanno fatto sapere le autorità cinesi. L'architetto, lo
ricordiamo, è l’autore del celebre stadio futuristico di Pechino per le Olimpiadi
del 2008, noto come il "nido d'uccello".
Russia-Bielorussia, forniture gas La
Russia potrebbe interrompere nei prossimi giorni le forniture di elettricità alla
Bielorussia. La Repubblica ex sovietica, guidata dal presidente Nokolai Lukashenko,
si trova in profonda crisi economica a causa del grave debito pubblico. Mosca rivendica
il pagamento di 37 milioni di euro per forniture energetiche, ma contemporaneamente
sta elargendo un cospicuo prestito a Minsk, a fronte della vendita di aziende pubbliche.
Una situazione intricata che vede la Bielorussia fortemente esposta anche nei confronti
del Fondo monetario internazionale (Fmi). Giancarlo La Vella ne ha parlato
con Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana, esperto dell’area
ex sovietica:
R. – Le forniture
di energia elettrica della Russia alla Bielorussia valgono per il 10, 12 per cento
dei consumi bielorussi, quindi sono importanti, non decisivi. La Russia non è in grado
di “strangolare” immediatamente la Bielorussia, però questa crisi si trascina ormai
da settimane. La Russia chiede il saldo del credito che ha nei confronti della Bielorussia
che è di circa 400 milioni di euro. La Bielorussia non può pagare, quindi la Russia
decide l’interruzione delle forniture; poi riprendono le trattative, la Russia rimanda
e si va avanti così. Io credo che tutto questa durezza del Cremlino serva per poi
poter ammorbidire le posizioni così da preparare e, forse anche favorire, la successione
a Lukashenko. Il regime di Lukashenko è in crisi, l’economia è uno sfacelo, il debito
cresce a vista d’occhio e certamente così non potrà andare avanti più per molto. La
Russia, secondo me, si sta preparando a mettere politicamente le mani sul futuro della
Bielorussia sulla sua posizione strategica importante per gasdotti e oleodotti e anche
per alcune industrie che la Bielorussia ha e che non sono trascurabili come per esempio
quelle del potassio.
D. – Questo attraverso il prestito che Mosca, contemporaneamente,
sta concedendo alla Bielorussia?
R. – Sì, perché la Russia non ha interesse
a distruggere la Bielorussia, a mandarla allo sfacelo, affamarla. Non é un nemico,
è semplicemente un potenziale terreno di espansione politica ed economica. Da un lato,
la sorregge perché il Paese non tracolli, ma dall’altro preme perché il regime si
adegui oppure semplicemente cambi e se ne vada.
D. – Quali altri Paesi
dell’area ex sovietica sono nelle stesse condizioni della Bielorussia nei rapporti
con Mosca?
R. – Sono molti e proprio questo fatto che Eurasec - la comunità
economica euroasiatica, in cui ovviamente c’è la Russia come parte preponderante e
poi diversi altri Paesi dell’URSS - abbia deciso questo prestito, che è uno dei tanti
prestiti fatti ad altri Paesi, dimostra che la Russia è costretta a tenere in piedi
un certo equilibrio. Il discorso della riscossione dei debiti è sì importante, ma
non può essere assolutizzato molto semplicemente perché, come nel caso della Bielorussia,
altri Paesi che sono emersi dall’area sovietica, soprattutto in Asia centrale, rischierebbero
veramente il tracollo e la bancarotta e la Russia che ha già qualche problema di suo
non può certo permettersi tutta questa serie di turbolenze.
Brasile,
Battisti ottiene visto permanente Il Brasile ha concesso un visto permanente
all’ex terrorista italiano, Cesare Battisti. Il Consiglio nazionale per l’immigrazione
ha deciso di concedere il documento all’ex esponente dei "Proletari armati per il
comunismo" a larga maggioranza. Ora, Battisti avrà tutti i diritti di un cittadino
brasiliano, tranne quello di voto e di candidarsi alle elezioni. Se dovesse lasciare
il Paese, però, potrebbe essere estradato in Italia dagli Stati che hanno un accordo
in materia con Roma.
Somalia Il presidente somalo, Sharif Cheikh
Ahmed, ha nominato primo ministro Abduweli Mohamed Ali, in sostituzione di Mohamed
Abdullahi Mohamed, costretto a dimettersi. Abduweli Mohamed Ali è stato incaricato
di formare un nuovo governo che avrà come obiettivo primario la lotta alla ribellione.
Le deboli autorità somale riconosciate dalla comunità internazionale controllano,
infatti, solo parte del Paese che, in una buona parte, resta ostaggio delle milizie
islamiche Al-Shabab. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Davide
Maggiore)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno
LV no. 174