Ecuador: i Missionari scalabriniani denunciano le condizioni dei rifugiati
“Non serve a nulla avere 54.000 rifugiati riconosciuti, se non gli si offre sufficiente
attenzione e sicurezza". È la denuncia di Janeth Ferreira, direttrice della Fondazione
Scalabrini, che si occupa dei rifugiati politici in Ecuador. Riferisce l’agenzia Fides
che la maggior parte di queste persone sono donne e bambini, che provengono principalmente
dalla Colombia, il Paese con il maggior numero di persone accolte in altre nazioni
dell’America Latina, secondo l'Alto Commissario dell'Onu per i Rifugiati (Acnur).
Secondo gli operatori del settore la risposta dello Stato ecuadoriano alla questione,
è ancora troppo limitata. "Lo Stato legalizza solo lo status di rifugiato, concedendo
i visti. Ma per ciò che riguarda i servizi sociali, come la protezione e l'integrazione,
praticamente non c'è nessun contributo da parte del Governo", aggiunge la Ferreira,
“anzi, piuttosto ci sono difficoltà amministrative per il rinnovo annuale del visto,
soprattutto per coloro che vivono nelle zone di confine come San Lorenzo e hanno bisogno
di recarsi negli uffici di Quito, Tulcan o Ibarra per le pratiche”. Janeth Ferreira
racconta che "alcune persone non vogliono neppure la tessera di rifugiato. Infatti,
se fai domanda per un lavoro o per affittare una casa, quando mostri il documento
di identità su cui c'è scritta la parola ‘refugiado’, le persone ti guardano con paura".
In molte scuole e centri sanitari dicono loro "non c'è posto per gli ecuadoriani,
figuriamoci per gli stranieri." L'assistenza dipende molto da quello che realizzano
le organizzazioni della società civile. In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato,
Antonio Gutierres, responsabile dell'Acnur a Quito, ha annunciato che circa 1.000
rifugiati lasceranno l'Ecuador per andare negli Stati Uniti, in Canada, Nuova Zelanda,
Brasile e Cile. (M.R.)