2011-06-20 15:17:25

Giornata mondiale per i rifugiati: interventi di mons. Vegliò e del commissario Onu Antonio Guterres


Si celebra oggi la Giornata Mondiale del Rifugiato che quest’anno coincide, tra l’altro, con il 60.mo anniversario della fondazione dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Ieri a Lampedusa, meta di flussi migratori soprattutto dal Nord Africa, l’Alto Commissario António Guterres ha incontrato i richiedenti asilo e le autorità locali. La Chiesa da sempre è presente tra i rifugiati e gli sfollati. Al microfono di Fabio Colagrande, l'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, spiega quali situazioni umanitarie oggi preoccupino il dicastero vaticano:RealAudioMP3

R. – Nell’arco dei suoi 60 anni di vita, l’Acnur ha aiutato milioni di rifugiati. Questa organizzazione ha, tra l’altro, sviluppato delle soluzioni per ottenere ai rifugiati la cittadinanza del Paese di reinsediamento o la possibilità di reinsediarsi in altri Paesi. Mentre per la maggior parte dei rifugiati l’Acnur li assistite per poter tornare nei Paesi di origine e ricostruirsi una nuova vita. Tuttavia, l’esistenza stessa di questa organizzazione internazionale indica che la situazione dei rifugiati rimane irrisolta. In origine, l’Acnur era stata creata con mandato triennale. Invece, esso è stato rinnovato e da qualche anno, è diventata un’organizzazione permanente. Purtroppo, i problemi che essa affronta sono in continua evoluzione e le sfide del suo mandato diventano sempre più ampie. L’Acnur nacque per far fronte ai 19 milioni di sfollati europei prima del 1951, in conseguenza alla Guerra Mondiale. Il suo mandato si è poi esteso ai rifugiati ungheresi durante la rivoluzione del 1956. Negli anni seguenti, diverse situazioni in Algeria, Cambogia e Tibet, hanno richiesto il suo intervento in altri continenti. Man mano queste situazioni hanno portato l’Acnur ad interessarsi dei rifugiati di tutto il mondo. Perciò, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha allargato il suo raggio di azione a categorie di persone non protette, quali gli apolidi e le persone sfollate per conflitti militari o per violazione dei diritti umani. Purtroppo, altre nuove sfide sono alle porte. Ad esempio: chi si prenderà la responsabilità di quelle persone che devono lasciare il proprio Paese per motivi climatici? Un’altra sfida da affrontare è rappresentata dall’atteggiamento di ostilità dell’opinione politica, da cui emerge che il problema da risolvere sono i rifugiati stessi e non più le cause che li portano a fuggire.

D. – Come si esprime oggi l’impegno della Chiesa universale nei confronti dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei profughi?

R. – La Chiesa è presente fra i rifugiati e gli sfollati in diversi modi. Ciò dipende molto dal tipo di coinvolgimento delle Conferenze episcopali o del vescovo locale. Ad esempio, ci sono sacerdoti e suore che sono a contatto diretto con le persone nei campi di rifugiati e a volte il vescovo cura il campo come una vera parrocchia. Inoltre, diverse congregazioni religiose si prodigano direttamente, mentre altre collaborano con il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jesuit Refugee Service). Questo servizio è stato creato da Padre Arrupe, preposto generale dei Gesuiti, per rispondere ai boat people del Vietnam, cioè quei rifugiati che scappavano via mare dalla guerra in Vietnam. Un ruolo speciale è riconosciuto alla Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni (Icmc - International Catholic Migration Commission) che è specializzata nel reinsediamento dei rifugiati in Paesi terzi. Ad oggi, più di un milione di persone sono state reinsediate. Essa porta avanti pure diversi progetti socio-economici, come ad esempio il micro-credito. Inoltre è attiva la Caritas, sia a livello diocesano che a livello nazionale, per offrire vari tipi di assistenza: dagli aiuti per fronteggiare le emergenze, al coinvolgimento diretto per la gestione dei campi di rifugiati. Essa cura i rifugiati traumatizzati e interviene per la reintegrazione dei bambini soldato. Una delle nuove sfide sarà la presenza di “rifugiati urbani”. Questo è un nuovo fenomeno emergente. Infatti, un numero sempre più elevato di rifugiati, al momento circa la metà, si sposta nelle città. Il problema è quindi quello di raggiungerli nelle città ove diventano invisibili e si mimetizzano tra la gente, specialmente nei quartieri poveri.

D. – Ci sono delle particolari situazioni umanitarie, forse sottovalutate dalla comunità internazionale, che allarmano il vostro dicastero in questo momento?

R. – Il dicastero segue con grande apprensione tutte le persone rifugiate e sfollate. In particolare, si aggiorna sulle situazioni di emergenza, studia le politiche, sviluppa una pastorale diretta alle diverse necessità. Una delle sue preoccupazioni riguarda i bambini che si trovano nei campi di rifugiati, molti dei quali non conoscono altre realtà perché lì sono nati e cresciuti. Ciò si verifica per esempio nei campi di rifugiati in Tailandia, dove tuttora vivono 150.000 persone, in queste condizioni da vent’anni. Un altro esempio si riscontra nella parte est della Repubblica Democratica del Congo, dove si contano più di un milione e settecentomila sfollati a causa della guerra. Negli ultimi 12 anni, per via delle continue violenze militari, 5,5 milioni di persone sono morte e tantissime donne sono state stuprate. Preoccupante pure la situazione in Sudan con il conflitto in corso ad Abjei, e i continui bombardamenti degli aeroplani. In Darfur, centinaia di migliaia di persone vivono ancora nei campi di rifugiati e non risulta chiaro il destino di tanti del Nord che ora si trovano al Sud e viceversa. Prenderanno forse la nazionalità della nuova Nazione? Avranno ancora il diritto di rimanere cittadini del Sudan? Per di più, il Sud Sudan dovrà fronteggiare il ritorno di un altissimo numero di persone dal Nord del Paese. Il processo della loro integrazione rappresenterà una grande sfida.

D. – Ormai dall’inizio dell’anno, e anche in queste settimane, si susseguono nel Mediterraneo naufragi di imbarcazioni di fortuna che causano decine di vittime e dispersi. Si tratta molto spesso di profughi provenienti dal Nord-Africa, molto spesso in fuga dal conflitto libico. La sensazione è che l’Europa non abbia trovato una strategia comune per affrontare questa drammatica situazione. Cosa ne pensa?

R. – Una sfida notevole si presenta nel Nord Africa, specialmente in Tunisia, in Egitto e Libia. Cerchiamo però di guardare questo problema nelle sue reali proporzioni. La Tunisia ha accolto mezzo milione di persone, di cui 290.000 libici. L’Egitto ne ha accolte 340.000, di cui 161.000 dalla Libia. Più di un milione di persone ha lasciato la Libia. In Italia sono giunti 15.000 libici richiedenti asilo, ciò non dovrebbe essere un problema. Altri Paesi industrializzati hanno fatto fronte a situazioni simili e vari “Paesi del Sud” stanno ospitando un grande numero di rifugiati. La Liberia, ad esempio, ha accolto circa 200.000 Ivoriani. Alcune Nazioni industrializzate dichiarano che i rifugiati dovrebbero rimanere nella regione del Nord Africa. Questo è esattamente ciò che sta accadendo nei riguardi dei Libici che arrivano in Italia e in altri Paesi europei. È una tragedia che queste persone debbano scappare imbarcate su carrette del mare che spesso affondano e fanno perdere loro la vita. Oggi, con la disponibilità di mezzi elettronici sofisticati e con l’ausilio di Frontex “l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea", l’Unione Europea dovrebbe essere capace di monitorare queste imbarcazioni e raggiungerle per prestare loro assistenza, prima ancora che si trovino in difficoltà sfiorando la tragedia del naufragio. La chiusura delle frontiere non è la risposta. I Paesi dovrebbero garantire i diritti dei rifugiati ed agire d’accordo con la Convenzione del 1951, che prevede di assistere coloro che hanno bisogno, di accoglierli, e di trattarli come gli stessi cittadini.

Sono 43 milioni e 700 mila le persone che nel mondo sono costrette a fuggire. I 4/5 sono accolti da Paesi in via di sviluppo. Le cifre arrivano dal "Global Trends 2010", il Rapporto statistico annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). Pubblicato oggi, il Rapporto è stato presentato a Roma dall’Alto commissario, Antonio Guterres che ieri a Lampedusa ha incontrato i richiedenti asilo e le autorità locali. Proprio oggi, infatti, ricorre la Giornata mondiale del Rifugiato. Alla conferenza stampa c’era per noi Debora Donnini:RealAudioMP3

Nel 2010, si contano quasi quattro milioni di persone nel mondo che lasciano la propria casa. La fotografia scattata dall’Unhcr fa vedere 15 milioni E 400 mila rifugiati, 27 milioni E500 mila sfollati interni e 850 mila richiedenti asilo. Numeri drammatici che non prendono in esame gli spostamenti forzati del 2011, come quelli in Libia, Siria o Costa d’Avorio. I rifugiati sono prevalentemente afghani, ma anche iracheni, somali, della Repubblica Democratica del Congo e sudanesi. Non solo. Ci sono 15 mila 500 domande d’asilo presentate da minori non accompagnati o separati. Sentiamo l’alto commissario dell’Onu per i Rifugiati, Antonio Guterres.

“There are two key-factors to be analized: … “.
Due sono i fattori chiave importanti da tenere presenti. Innanzitutto, che nel 2010 abbiamo avuto il più alto numero di rifugiati e di sfollati mai avuti negli ultimi 15 anni, e questo a causa sia delle numerose crisi nuove che sono insorte, sia a causa delle vecchie guerre che non trovano fine. Il secondo fattore molto importante è che c’è l’impressione errata che sia il mondo industrializzato ad accogliere la stragrande maggioranza di questi rifugiati, quando invece i quattro quinti di questo numero si trova nei Paesi in via di sviluppo, in un momento in cui è in costante aumento il numero di persone che necessitano di protezione. L’unica politica che può essere attuata è quella di mantenere le frontiere aperte".

A livello europeo, Guterres sottolinea la necessità di armonizzare il sistema per rendere il trattamento quanto più simile nei vari Paesi dell’Unione. Rispondendo ad una domanda, l’alto commissario dell’Onu ribadisce il “no” ai respingimenti. E spiega che, laddove arrivino barche con migranti e rifugiati, la procedura deve essere “la garanzia dell’accesso a tutte le persone”. Poi, aggiunge: “Chi ha il diritto all’asilo politico deve essere accolto mentre gli altri possono essere rimandati indietro nel rispetto del diritto internazionale”. Guterres, che ieri è stato a Lampedusa, ha voluto ringraziare sentitamente gli uomini della Guardia di Finanza e della Capitaneria di porto.







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