Giornata mondiale per i rifugiati: interventi di mons. Vegliò e del commissario Onu
Antonio Guterres
Si celebra oggi la Giornata Mondiale del Rifugiato che quest’anno coincide, tra l’altro,
con il 60.mo anniversario della fondazione dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati.
Ieri a Lampedusa, meta di flussi migratori soprattutto dal Nord Africa, l’Alto Commissario
António Guterres ha incontrato i richiedenti asilo e le autorità locali. La Chiesa
da sempre è presente tra i rifugiati e gli sfollati. Al microfono di Fabio Colagrande,
l'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della
Pastorale per i migranti e gli itineranti, spiega quali situazioni umanitarie oggi
preoccupino il dicastero vaticano:
R. – Nell’arco
dei suoi 60 anni di vita, l’Acnur ha aiutato milioni di rifugiati. Questa organizzazione
ha, tra l’altro, sviluppato delle soluzioni per ottenere ai rifugiati la cittadinanza
del Paese di reinsediamento o la possibilità di reinsediarsi in altri Paesi. Mentre
per la maggior parte dei rifugiati l’Acnur li assistite per poter tornare nei Paesi
di origine e ricostruirsi una nuova vita. Tuttavia, l’esistenza stessa di questa organizzazione
internazionale indica che la situazione dei rifugiati rimane irrisolta. In origine,
l’Acnur era stata creata con mandato triennale. Invece, esso è stato rinnovato e da
qualche anno, è diventata un’organizzazione permanente. Purtroppo, i problemi che
essa affronta sono in continua evoluzione e le sfide del suo mandato diventano sempre
più ampie. L’Acnur nacque per far fronte ai 19 milioni di sfollati europei prima del
1951, in conseguenza alla Guerra Mondiale. Il suo mandato si è poi esteso ai rifugiati
ungheresi durante la rivoluzione del 1956. Negli anni seguenti, diverse situazioni
in Algeria, Cambogia e Tibet, hanno richiesto il suo intervento in altri continenti.
Man mano queste situazioni hanno portato l’Acnur ad interessarsi dei rifugiati di
tutto il mondo. Perciò, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha allargato il suo
raggio di azione a categorie di persone non protette, quali gli apolidi e le persone
sfollate per conflitti militari o per violazione dei diritti umani. Purtroppo, altre
nuove sfide sono alle porte. Ad esempio: chi si prenderà la responsabilità di quelle
persone che devono lasciare il proprio Paese per motivi climatici? Un’altra sfida
da affrontare è rappresentata dall’atteggiamento di ostilità dell’opinione politica,
da cui emerge che il problema da risolvere sono i rifugiati stessi e non più le cause
che li portano a fuggire.
D. – Come si esprime oggi l’impegno della
Chiesa universale nei confronti dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei profughi?
R. – La Chiesa è presente fra i rifugiati e gli sfollati in diversi
modi. Ciò dipende molto dal tipo di coinvolgimento delle Conferenze episcopali o del
vescovo locale. Ad esempio, ci sono sacerdoti e suore che sono a contatto diretto
con le persone nei campi di rifugiati e a volte il vescovo cura il campo come una
vera parrocchia. Inoltre, diverse congregazioni religiose si prodigano direttamente,
mentre altre collaborano con il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jesuit Refugee
Service). Questo servizio è stato creato da Padre Arrupe, preposto generale dei Gesuiti,
per rispondere ai boat people del Vietnam, cioè quei rifugiati che scappavano via
mare dalla guerra in Vietnam. Un ruolo speciale è riconosciuto alla Commissione Cattolica
Internazionale per le Migrazioni (Icmc - International Catholic Migration Commission)
che è specializzata nel reinsediamento dei rifugiati in Paesi terzi. Ad oggi, più
di un milione di persone sono state reinsediate. Essa porta avanti pure diversi progetti
socio-economici, come ad esempio il micro-credito. Inoltre è attiva la Caritas, sia
a livello diocesano che a livello nazionale, per offrire vari tipi di assistenza:
dagli aiuti per fronteggiare le emergenze, al coinvolgimento diretto per la gestione
dei campi di rifugiati. Essa cura i rifugiati traumatizzati e interviene per la reintegrazione
dei bambini soldato. Una delle nuove sfide sarà la presenza di “rifugiati urbani”.
Questo è un nuovo fenomeno emergente. Infatti, un numero sempre più elevato di rifugiati,
al momento circa la metà, si sposta nelle città. Il problema è quindi quello di raggiungerli
nelle città ove diventano invisibili e si mimetizzano tra la gente, specialmente nei
quartieri poveri.
D. – Ci sono delle particolari situazioni umanitarie,
forse sottovalutate dalla comunità internazionale, che allarmano il vostro dicastero
in questo momento?
R. – Il dicastero segue con grande apprensione tutte
le persone rifugiate e sfollate. In particolare, si aggiorna sulle situazioni di emergenza,
studia le politiche, sviluppa una pastorale diretta alle diverse necessità. Una delle
sue preoccupazioni riguarda i bambini che si trovano nei campi di rifugiati, molti
dei quali non conoscono altre realtà perché lì sono nati e cresciuti. Ciò si verifica
per esempio nei campi di rifugiati in Tailandia, dove tuttora vivono 150.000 persone,
in queste condizioni da vent’anni. Un altro esempio si riscontra nella parte est della
Repubblica Democratica del Congo, dove si contano più di un milione e settecentomila
sfollati a causa della guerra. Negli ultimi 12 anni, per via delle continue violenze
militari, 5,5 milioni di persone sono morte e tantissime donne sono state stuprate.
Preoccupante pure la situazione in Sudan con il conflitto in corso ad Abjei, e i continui
bombardamenti degli aeroplani. In Darfur, centinaia di migliaia di persone vivono
ancora nei campi di rifugiati e non risulta chiaro il destino di tanti del Nord che
ora si trovano al Sud e viceversa. Prenderanno forse la nazionalità della nuova Nazione?
Avranno ancora il diritto di rimanere cittadini del Sudan? Per di più, il Sud Sudan
dovrà fronteggiare il ritorno di un altissimo numero di persone dal Nord del Paese.
Il processo della loro integrazione rappresenterà una grande sfida.
D.
– Ormai dall’inizio dell’anno, e anche in queste settimane, si susseguono nel Mediterraneo
naufragi di imbarcazioni di fortuna che causano decine di vittime e dispersi. Si tratta
molto spesso di profughi provenienti dal Nord-Africa, molto spesso in fuga dal conflitto
libico. La sensazione è che l’Europa non abbia trovato una strategia comune per affrontare
questa drammatica situazione. Cosa ne pensa?
R. – Una sfida notevole
si presenta nel Nord Africa, specialmente in Tunisia, in Egitto e Libia. Cerchiamo
però di guardare questo problema nelle sue reali proporzioni. La Tunisia ha accolto
mezzo milione di persone, di cui 290.000 libici. L’Egitto ne ha accolte 340.000, di
cui 161.000 dalla Libia. Più di un milione di persone ha lasciato la Libia. In Italia
sono giunti 15.000 libici richiedenti asilo, ciò non dovrebbe essere un problema.
Altri Paesi industrializzati hanno fatto fronte a situazioni simili e vari “Paesi
del Sud” stanno ospitando un grande numero di rifugiati. La Liberia, ad esempio, ha
accolto circa 200.000 Ivoriani. Alcune Nazioni industrializzate dichiarano che i rifugiati
dovrebbero rimanere nella regione del Nord Africa. Questo è esattamente ciò che sta
accadendo nei riguardi dei Libici che arrivano in Italia e in altri Paesi europei.
È una tragedia che queste persone debbano scappare imbarcate su carrette del mare
che spesso affondano e fanno perdere loro la vita. Oggi, con la disponibilità di mezzi
elettronici sofisticati e con l’ausilio di Frontex “l’Agenzia europea per la gestione
della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione
europea", l’Unione Europea dovrebbe essere capace di monitorare queste imbarcazioni
e raggiungerle per prestare loro assistenza, prima ancora che si trovino in difficoltà
sfiorando la tragedia del naufragio. La chiusura delle frontiere non è la risposta.
I Paesi dovrebbero garantire i diritti dei rifugiati ed agire d’accordo con la Convenzione
del 1951, che prevede di assistere coloro che hanno bisogno, di accoglierli, e di
trattarli come gli stessi cittadini.
Sono 43 milioni e 700 mila le persone
che nel mondo sono costrette a fuggire. I 4/5 sono accolti da Paesi in via di sviluppo.
Le cifre arrivano dal "Global Trends 2010", il Rapporto statistico annuale dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). Pubblicato oggi, il Rapporto
è stato presentato a Roma dall’Alto commissario, Antonio Guterres che ieri a Lampedusa
ha incontrato i richiedenti asilo e le autorità locali. Proprio oggi, infatti, ricorre
la Giornata mondiale del Rifugiato. Alla conferenza stampa c’era per noi Debora
Donnini:
Nel 2010,
si contano quasi quattro milioni di persone nel mondo che lasciano la propria casa.
La fotografia scattata dall’Unhcr fa vedere 15 milioni E 400 mila rifugiati, 27 milioni
E500 mila sfollati interni e 850 mila richiedenti asilo. Numeri drammatici che non
prendono in esame gli spostamenti forzati del 2011, come quelli in Libia, Siria o
Costa d’Avorio. I rifugiati sono prevalentemente afghani, ma anche iracheni, somali,
della Repubblica Democratica del Congo e sudanesi. Non solo. Ci sono 15 mila 500 domande
d’asilo presentate da minori non accompagnati o separati. Sentiamo l’alto commissario
dell’Onu per i Rifugiati, AntonioGuterres.
“There are two key-factors to be analized: … “. Due sono
i fattori chiave importanti da tenere presenti. Innanzitutto, che nel 2010 abbiamo
avuto il più alto numero di rifugiati e di sfollati mai avuti negli ultimi 15 anni,
e questo a causa sia delle numerose crisi nuove che sono insorte, sia a causa delle
vecchie guerre che non trovano fine. Il secondo fattore molto importante è che c’è
l’impressione errata che sia il mondo industrializzato ad accogliere la stragrande
maggioranza di questi rifugiati, quando invece i quattro quinti di questo numero si
trova nei Paesi in via di sviluppo, in un momento in cui è in costante aumento il
numero di persone che necessitano di protezione. L’unica politica che può essere attuata
è quella di mantenere le frontiere aperte".
A livello europeo, Guterres
sottolinea la necessità di armonizzare il sistema per rendere il trattamento quanto
più simile nei vari Paesi dell’Unione. Rispondendo ad una domanda, l’alto commissario
dell’Onu ribadisce il “no” ai respingimenti. E spiega che, laddove arrivino barche
con migranti e rifugiati, la procedura deve essere “la garanzia dell’accesso a tutte
le persone”. Poi, aggiunge: “Chi ha il diritto all’asilo politico deve essere accolto
mentre gli altri possono essere rimandati indietro nel rispetto del diritto internazionale”.
Guterres, che ieri è stato a Lampedusa, ha voluto ringraziare sentitamente gli uomini
della Guardia di Finanza e della Capitaneria di porto.