Il cardinale Vallini in visita nella parrocchia romana dell'Ordine dei Trinitari
Grande attesa e gioia nella famiglia dell’Ordine della Santissima Trinità per la visita
del cardinale vicario per la diocesi di Roma, Agostino Vallini, che domani si recherà
nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci, una delle più vicine al
Vaticano. Alla presenza del sindaco, Gianni Alemanno, sarà inaugurata un’opera in
bronzo posta sulla facciata della chiesa, che rivisita l’antico mosaico trinitario
del 1200 ispirato ad una visione del fondatore Giovanni De Matha e oggi collocato
sull’antico portale del convento di San Tommaso in Formis, a Roma. Massimiliano
Menichetti ha intervistato padre Giulio Cipollone, trinitario e ordinario
di Storia medioevale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma:
R. – Per
noi, questa visita riveste grandissima importanza, perché si inquadra in un contesto
pastorale e si realizza proprio a ridosso del Convegno diocesano, dove il grande tema
è stato quello della catechesi. Per noi, quindi, significa incoraggiamento e significa
avere delle linee per la catechesi stessa.
D. – L’Ordine della Santissima
Trinità risale al 1193 ed Il suo fondatore fu Giovanni de Matha. Quando quest’Ordine
è presente nelle vicinanze di San Pietro?
R. – I Trinitari sono presenti
per la munificenza e la benevolenza dei Papi in Santa Maria alle Fornaci – prima piccolo
Santuario, poi parrocchia – già dal 1700 e l’Ordine dei Trinitari venne qui alle Fornaci
proprio per fondare un Collegio internazionale per le missioni. L’Ordine Trinitario
è nato qualche decennio prima dell’esperienza di San Francesco d’Assisi, alla fine
del XII secolo, per liberare i prigionieri cristiani e musulmani.
D.
– Domenica scoprirete un’opera in bronzo che è il rifacimento di un mosaico del 1210,
che adesso è sull’antico convento di San Tommaso in Formis, sul Celio, a Roma. Di
cosa si tratta?
R. – Questo mosaico, opera dei Cosmati, presenta un
Cristo nel piano dell’oro che prende per mano un cristiano e musulmano. Un Cristo,
quindi, che libera le vittime di violenza bellica nel tempo di crociate e jihad. Si
tratta di cristiani caduti nelle mani dell’islam, ma anche di musulmani caduti nelle
mani dei cristiani. E’ la logica del nuovo impianto, che si può veramente dire nuovo
canone di estetica, il bianco e il nero: l’umanità è immersa nel piano dell’oro della
divinità.
D. – Questo mosaico raffigura appunto il Cristo seduto su
un trono con accanto questi due uomini, come lei ha ricordato - che sono più piccoli
nella rivisitazione - e sono incatenati. Nella rivisitazione questo cambia: come e
perché?
R. – Innanzitutto, la tecnica dal mosaico - si passa ad un bassorilievo
in bronzo – ed è incastonato il simbolo della perfezione cristiana, che è il tondo,
nell’ambito della bellezza e della perfezione nel contesto della cultura islamica,
che è il quadrato. Lo sfondo oro del tondo e lo sfondo verde del bronzo stanno a significare
questi due colori del Paradiso e dell’eternità per le due grandi religioni. Cristo
è stato reinterpretato non più seduto ma in piedi, con lo sfondo del sepolcro vuoto.
Quindi, è un Cristo piagato nelle mani ma risorto e i due protagonisti della sofferenza
– sia quello cristiano che quello musulmano – sono riprodotti liberi dalle catene.
Le armi sono sotto i loro piedi, come se fossero realmente, oggi, liberi. Si tratta
veramente di una reimpostazione di una buona, pacifica convivenza planetaria tra le
distinte e diverse culture. E tutto questo nell’abbraccio di un Cristo risorto.
D.
– Questa opera in bronzo sarà applicata sulla facciata della Chiesa. Che cosa vuole
dire a chi passa davanti ad una parrocchia a ridosso della Basilica di San Pietro?
R.
– Si tratta di un manifesto murale. Non è un fatto devozionale privato, interno alla
Chiesa, ma è piuttosto una dichiarazione pubblica d’intenti. Un manifesto politico-culturale,
in questo caso però è nel nome di Cristo e quindi è un manifesto ecclesiale. Vogliamo
riproporre, sulla facciata esterna, una denuncia ed un annuncio: come risolvere, oggi,
i problemi della sofferenza e dell’incontro tra le culture. Dialogo, confronto. Confronto
sulle opere buone. Seconda cosa: dato che l’esperienza del dolore umano livella ed
accomuna tutta l’esperienza dell’intera umanità, credo che questo sia il piano della
carità vissuta. In fondo, noi Trinitari siamo nati con la certezza di un mistero chiaro,
non un mistero difficile. Ogni volta che si ama, si entra nel mistero chiaro e laddove
si rende visibile la Trinità come mistero chiaro, lì si pratica la carità. (vv)