Aumentano i profughi dalla Siria dove la tensione è altissima
In Siria, dopo l’offensiva con cui le forze governative hanno represso nuove rivolte
nel nord ovest del Paese, le autorità invitano i profughi a rientrare nelle loro case.
Intanto, la tensione nel Paese è altissima e all’Onu si studia una risoluzione. Il
servizio è di Davide Maggiore:
I cittadini
delle località vicine al confine turco interessate dalle rivolte degli ultimi giorni
possono tornare alle loro case, perché dopo “l’ingresso dell’esercito” la situazione
è “tornata alla normalità”, riferisce l’agenzia ufficiale siriana. Alcuni militari
hanno anche accusato i ribelli, definiti “terroristi”, di aver utilizzato “bambini
come scudi umani”. Secondo attivisti e testimoni oculari, invece, l’esercito e le
forze di sicurezza di Damasco avrebbero sparato sui civili disarmati, usando anche
carri armati ed elicotteri da combattimento. In queste ore l’offensiva dell’esercito
siriano si sta spostando più a ovest, verso la località di Maarrat an-Numan, da dove
sono in fuga migliaia di persone, che si aggiungono agli oltre 8.400 profughi già
censiti dal governo turco. Intanto, a Damasco, si sta svolgendo una manifestazione
filo-governativa, promossa in Rete, che secondo i media locali dovrebbe portare in
strada un milione di persone. Sul fronte diplomatico, il segretario di Stato americano,
Hillary Clinton, ha risposto duramente al governo iraniano che aveva definito “gravi”
le possibili conseguenze di un intervento esterno, con riferimento agli Stati Uniti.
“L’Iran – ha ribattuto la Clinton – appoggia gli attacchi brutali del regime di Assad
contro i suoi stessi cittadini”.
Libia: ancora raid Nato, mentre i
ribelli assediano Kikla e premono verso Zlitan Nuovi raid Nato nella tarda
serata di ieri hanno colpito Tripoli, con il governo del rais che accusa l'Alleanza
di aver colpito obiettivi civili, mentre i ribelli avanzano verso ovest stringendo
sempre di più la capitale libica nella morsa. Intanto, i ribelli assediano Kikla,
150 km a sudovest della capitale libica, e premono sulla periferia di Zlitan, lungo
la strada costiera che porta da Misurata a Tripoli. Le forze ribelli affermano di
aver ricevuto "istruzioni dalla Nato" di arretrare dalle proprie posizioni in attesa
dei raid dell'Alleanza. La Nato ha sganciato centinaia di volantini sulla zona invitando
i soldati fedeli a Gheddafi ad abbandonare le proprie postazioni. Intanto, la portavoce
della Nato, Oana Lungescu, assicura che le forze dell'Alleanza sono dotate dei “mezzi
necessari per svolgere la missione in Libia”. Ha voluto così rispondere alle dichiarazioni
rese dal segretario alla Difesa statunitense, Robert Gates, su una presunta mancanza
di investimenti militari capace di minare l'efficacia della missione in Libia. Ribadendo
le dichiarazioni rese la scorsa settimana dal segretario generale della Nato Rasmussen,
Lungescu ha concluso dicendo che “c'è fiducia nel successo dell'Alleanza”.
In
Yemen, il presidente rassicura sulle sue condizioni di salute Ieri, nello stesso
giorno in cui il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh ha rassicurato sulle sue condizioni
di salute, la stampa americana ha parlato di possibili nuovi attacchi di droni contro
i militanti di al Qaeda nel Paese. Il capo dello Stato, ancora ricoverato in Arabia
Saudita dopo l’attacco al suo palazzo del 3 giugno scorso, ha dichiarato all’agenzia
ufficiale Saba di stare bene e che il suo stato di salute è “in costante miglioramento”.
Intanto un programma di attacchi di aerei senza pilota contro i militanti qaedisti
sta per essere messo a punto dalla Cia. Lo scrive il "Wall Street Journal" sul suo
sito. Nel Paese asiatico sarebbero stati progettati, secondo i servizi di intelligence,
molti degli ultimi tentativi di attentati sul territorio americano. Qui vive anche
Anwar al-Awlaki considerato una delle figure chiave del nuovo organigramma di al Qaeda.
Circa
100 morti in Sud Sudan nell’ultima settimana Il presidente statunitense Barack
Obama ha lanciato un appello perché cessino le violenze in Sudan e ha chiesto alle
parti rivali di fermare le ostilià che mettono a rischio il processo di pace nel Paese.
Nell'ultima settimana in Sud Sudan si sono registrati quasi 100 morti per gli scontri
e le sortite dei ribelli. Il 9 luglio prossimo sarà proclamata ufficialmente la nascita
del nuovo Stato del Sud Sudan, ma in vista della secessione le tensioni si sono acuite,
in particolare nell’area di Abyei, regione fertile e ricca di acqua e petrolio contesa
dalle due parti, e in altre zone per altre questioni non risolte. Karthoum ha preso
il controllo di Abyei, inviando carri armati e truppe, lo scorso 21 maggio, causando
la fuga di decine di migliaia di civili. L’Unione africana ha fatto sapere ieri che
sarebbe stato raggiunto un accordo per la regione di Abyei.
Accordo sull’unità
dei palestinesi: prossimo governo con Al Fatah e Hamas I palestinesi si avviano
alla formazione di un unico governo formato da componenti di Al Fatah e di Hamas.
L’accordo è stato raggiunto dai negoziatori riunitisi, ieri, al Cairo in Egitto. Il
21 giugno prossimo dunque il presidente palestinese Mahmud Abbas incontrerà Khaled
Meshaal, leader di Hamas, per definire la formazione del nuovo governo di unità nazionale.
A Maria Grazia Enardu, docente di relazioni internazionali ed esperta di Medio
Oriente, Stefano Leszczynski ha chiesto quali siano gli ultimi ostacoli da
superare per arrivare ad un governo palestinese unitario:
R. – Il difficile
è trovare il nome del primo ministro perché sull’intesa di massima sono tutti d’accordo
compresi gli egiziani che hanno veramente appoggiato questa iniziativa. Il problema
è che Hamas non vuole la conferma del primo ministro Salam Fayad che considera troppo
vicini agli occidentali, anche se Fayad ha dato ottima prova di sé e dagli occidentali
è ritenuto garante degli aiuti che arrivano ai palestinesi. Bisognerà vedere se in
questo confronto Hamas cederà, oppure se si troverà per Fayad un ruolo presente o
futuro che possa soddisfare tutte le esigenze.
D. - Il governo unico
palestinese deve servire ad avere un’unica faccia con cui parlare a livello internazionale
o è incentrato sulla possibilità di rilanciare i negoziati con Israele?
R.
- Presentarsi sul fronte esterno internazionale come una sola voce è determinante
su tutto: sia sui negoziati - se si riavviano - con Israele che non potrà più sfruttare,
come ha sempre fatto, le divisioni tra i palestinesi, sia in campo internazionale
dove c’è l’importantissimo appuntamento di settembre all’Onu. Comunque vada all’Onu,
se i palestinesi si presentano come una sola voce saranno considerati più credibili
in qualunque sede per qualunque futuro sviluppo. Nel frattempo un unico governo riuscirà
ad amministrare in modo organico quelle due entità totalmente separate e totalmente
diverse che sono nel frattempo diventate il West Bank e Gaza.
D. – In
un unico governo anche la figura di Hamas dovrà cambiare?
R. – Hamas
è considerata da tempo un’organizzazione terroristica dimenticando che è un’organizzazione
politica che ha anche praticato il terrorismo, cosa che si può dire di molti partiti
al governo in giro per il mondo. Quindi, in questa fase può riacquistare una veste
puramente politica. Avrà semmai la difficoltà di tenere sotto controllo le altre fazioni
estremiste, come la jihad islamica, però di solito si dimostra "attenta curatrice"
del territorio che controlla.
D. – Di fronte a questo processo abbiamo
l’impressione di un premier israeliano che invece si "chiude a riccio" …
R.
– Perché sia chiaro che in Israele vi sono molte voci che vogliono l’avvio di un vero
negoziato di pace ma purtroppo Netanyahu è il primo ministro di una coalizione di
destra, di estrema destra, che andrà letteralmente in pezzi al primo segno di cedimento.
Lui questo lo sa, difende anche il suo ruolo, e questo rischia di sacrificare le istanze
generali di un Paese che tutto sommato vorrebbe anche un’altra soluzione.(bf)
3
anni fa in Kosovo, il voto per la Costituzione dopo l’indipendenza Il Kosovo
celebra oggi il terzo anniversario della nuova Costituzione. La legge fondamentale
venne varata quattro mesi dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Serbia, giunta
dopo un doloroso conflitto con Belgrado, a cui seguirono diversi anni di amministrazione
Onu. Ma come è il Kosovo di oggi? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a don
Lush Gjergji, vicario generale della diocesi di Pristina:
R. - Sicuramente
sono stati compiuti progressi, ma i problemi ci sono e ci sono soprattutto con il
nord del Kosovo, che non è ancora completamente integrato. Il Kosovo ha il riconoscimento
di 75 Stati e speriamo di poter arrivare ai 101 per poter così accedere direttamente
alle Nazioni Unite.
D. - I rapporti con la Serbia, come sono oggi?
R.
- I rapporti stanno sicuramente migliorando e questo soprattutto con la popolazione
serba. Il problema di fondo che abbiamo con la Serbia è che non riconosce i confini
del Kosovo: quindi con i documenti del Kosovo non possiamo andare in Serbia o attraversare
la Serbia per andare in altri Paesi. La stessa cosa vale anche per la Bosnia, proprio
perché non riconoscendoci non abbiamo possibilità di avere scambio di diverso genere.
D.
- Qual è la situazione sociale oggi in Kosovo?
R. - La situazione sociale
è abbastanza pesante, come purtroppo in tutta la zona balcanica: manca il lavoro,
ci sono diverse famiglie che sono state colpite dalla guerra e quindi abbiamo vedove,
bambini e orfani. Questi sono i problemi più grandi sia del Kosovo, sia dell’area
balcanica.
D. - C’è un desiderio di avvicinarsi, in tempi più o meno
lunghi, all’Europa?
R. - Il nostro desiderio e il desiderio di altri
Stati Balcani è quello di una “casa comune”, è quello dell’Europa. Stiamo cercando
di fare tutto il possibile - a livello di Costituzione e di legislazione - per riuscire
ad essere in regola con la realtà della Comunità Europea. Io sono contento e grato
al Signore che la mia nazione sia riuscita a superare, almeno in parte, quelle che
erano le difficoltà dovute alla guerra, all’odio e alla vendetta… Adesso, però, c’è
il desiderio di vivere insieme con gli altri, anche con la stessa Serbia, ma in un
ambito molto più largo, che è proprio quello rappresentato dalla Comunità Europea.
(mg)
Ad Atene, scontri tra manifestanti e polizia di fronte al Parlamento Scontri
davanti al Parlamento di Atene tra dimostranti e polizia: i manifestanti hanno lanciato
sassi e yogurt contro gli agenti, che hanno risposto sparando lacrimogeni. In Grecia
è in atto uno sciopero generale per chiedere il ritiro delle misure che il Parlamento
dovrebbe approvare oggi. Per impedire fisicamente l’accesso dei deputati all’aula
è stata organizzata una catena umana intorno all’edificio. Stamane, la Commissione
europea fa sapere di ritenere che la Grecia riceverà a luglio la prossima tranche
di aiuti nell'ambito del piano di sostegno finanziario varato dall'Ue circa un anno
fa. Intanto, pesa la situazione di stallo fra i Paesi europei sul nuovo pacchetto
di aiuti necessario ad Atene. Il premio di rendimento pagato dai titoli di Stato decennali
greci rispetto al bund tedesco vola a 1.500 punti. Si tratta di un livello mai raggiunto
dall'introduzione dell'euro nel 1999.
In Pakistan arrestati presunti collaboratori
della Cia I servizi segreti del Pakistan (Isi) hanno arrestato cinque collaboratori
della Cia nel Paese. Come riferisce il "New York Times", gli arrestati avrebbero passato
al servizio segreto statunitense informazioni nei mesi precedenti il blitz di Abbottabad
in cui è rimasto ucciso Osama bin Laden. Secondo alcuni funzionari Usa la sorte degli
informatori sarebbe stata anche al centro dei colloqui della settimana scorsa ad Islamabad
tra i vertici dei servizi segreti pakistani e il capo della Cia, e segretario alla
Difesa in pectore, Leon Panetta.
Tensioni tra Cina e Vietnam Un decreto
sulla leva in tempo di guerra è stato emesso ieri dalle autorità del Vietnam, in un
periodo di forti tensioni con la Cina a causa di due arcipelaghi contesi. Nel provvedimento
si specificano le otto categorie di cittadini esenti dalla leva obbligatoria e la
sua entrata in vigore è fissata al 1 agosto prossimo. Nei giorni scorsi la marina
vietnamita aveva sostenuto lunghe esercitazioni nel mar Cinese meridionale, ma il
governo le aveva in seguito definite di routine, negando che fossero collegate alla
disputa con Pechino sugli arcipelaghi delle Spratly e delle Paracel, isole potenzialmente
ricche di petrolio e gas. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza
e Davide Maggiore)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana
Anno LV no. 166