Missione in Africa del segretario di Stato Usa, Hillary Clinton
Si è conclusa in anticipo sul previsto la missione africana del segretario di Stato
Usa, Hillary Clinton, a causa delle ceneri eruttate dal vulcano Dubbi al confine tra
Eritrea ed Etiopia. Nonostante il frettoloso rientro a Washington la Clinton è riuscita
ad intervenire presso l’Unione Africana. Fra i temi affrontati la crisi libica, l’offensiva
economica guidata dalla Cina nel continente africano e l’invito a premere su riforme
democratiche e di sviluppo. Ad Angelo Turco, docente di geografia dello sviluppo
presso l’Università de L’Aquila, Stefano Leszczynski ha chiesto se questa missione
sia servita a delineare una nuova politica africana da parte di Washington:
R. – In
questo momento si tratta di un interesse che è duplice. Da una parte si tratta di
stringere la morsa attorno a Gheddafi perché la guerra costa, perché si vedono segni
di stanchezza, e dall’altra parte si tratta di continuare a lanciare messaggi molto,
semplici e francamente inefficaci da parte degli Stati Uniti contro l’offensiva politico-economica
del Brics, cioè dell’insieme dei Paesi costituito dal Brasile, dalla Russia dall’India,
dalla Cina e dal Sudafrica, in Africa.
D. – Inoltre, la Clinton ha anche
indicato le rivolte africane come un esempio di quello che succede quando si governano
male gli Stati. Questo sull’Africa che impatto può avere secondo lei?
R.
- Penso che allo stato attuale non possa avere nessun impatto reale anche perché l’Africa
è già fortemente impegnata sul percorso di un rafforzamento della democrazia. Evidentemente,
il discorso di Hillary Clinton è un discorso di circostanza o poco più perché in realtà
gli Stati Uniti non stanno praticando una vera politica africana, anzi mancano del
tutto di una politica africana in questa fase della loro storia, ed è alquanto paradossale
che durante il mandato del primo presidente afroamericano, che tante speranze aveva
destato anche in Africa, gli Stati Uniti siano privi di una politica africana o di
qualcosa che possa dirsi una politica africana.
D. – Anche l’Europa
sembra vagare un po’ nella nebbia per quanto riguarda una precisa politica africana?
R.
– L’Europa in questo momento, intanto, non è in grado di parlare all’Africa, neanche
al Nordafrica, con una sola ed unica voce che sarebbe quella europea. Quando lo fa,
lo fa accodandosi a iniziative terze e, occorre constatare, battendo la pista della
politica muscolare e addirittura militare.