Siria: l'esercito riprende la città di Al Shughur ma aumentano le diserzioni
In Siria, dopo 4 giorni di combattimenti, l’esercito ha ripreso il controllo di Jisr
Al Shughur, città roccaforte degli insorti al confine con la Turchia. Fonti governative
riferiscono che è stata trovata una fossa comune con i corpi di soldati e poliziotti.
Secondo le autorità siriane, sono almeno 120 gli agenti delle forze di sicurezza rimasti
uccisi negli scontri. Sull’altro versante, fonti dell’opposizione rendono noto che
nei combattimenti a Jisr Al Shughur sono morti oltre 40 civili. Sui drammatici episodi
avvenuti nelle ultime ore in questa città nel nord ovest del Paese, Amedeo Lomonaco
ha intervistato Camille Eid, esperto di Paesi arabi del quotidiano “Avvenire”:
R. - Sono
trapelate notizie attraverso i profughi che arrivano in Turchia, che parlano non certo
di bande armate o di malavitosi - come affermato dal governo - ma di un gruppo di
200 abitanti della città che si erano costituiti in comitati locali. Qualcuno vede
nella “resistenza” dei quattro giorni una specie di salto di qualità, nel senso che
ci sono dei disertori dell’esercito ufficiale che hanno denunciato il comportamento
dell’esercito nei confronti dei civili e quindi hanno preferito disertare. Sarebbero
stati questi soldati ad opporre resistenza all’esercito regolare, ai loro ex compagni
di armi. Lo stesso vale per la storia dei 120 soldati o carabinieri uccisi nella città
di Jisr Al Shughur: alcuni dicono si sia trattato non tanto di un massacro ad opera
dei ribelli contro degli elementi dell’esercito o delle forze dell’ordine, quanto
di una faida interna all’esercito, ossia militari che hanno sparato contro altri militari
che rifiutavano di eseguire gli ordini.
D. - La situazione è dunque
drammatica. Secondo l’opposizione sono oltre 1.300 i civili che hanno perso la vita
dall’inizio delle proteste ed inoltre sono oltre sei mila e 800 i profughi fuggiti
dalla Siria verso la Turchia. Questi numeri, purtroppo, non bastano a fermare il regime…
R.
- Purtroppo no. Abbiamo visto che il Consiglio di Sicurezza viene un po’ ostacolato
nel suo lavoro da Russia e Cina, che si oppongono ad una risoluzione dura nei confronti
della Siria, ma Damasco sta perdendo tutti i suoi amici, perché la stessa Turchia
sta usando toni durissimi verso la Siria.
D. - Poi toccherà anche ad
Europa e Stati Uniti alzare i toni?
R. - Damasco non sembra granché
preoccupata perché vede che l’Europa e gli Stati Uniti sono indaffarati per la questione
libica e adesso usano la mano dura proprio per questo motivo. Ma chiaramente le Ong
premono sul Consiglio di Sicurezza e su altri organismi internazionali per avere una
condanna della Siria riguardo questi comportamenti.
D. - E’ già ipotizzabile,
oggi, in Siria, un post-Assad? C’è qualche forza politica in grado di poter prendere
il potere?
R. - Una sola forza no. L’opposizione siriana è variegata:
comprende la componente islamica dei fratelli musulmani, repressi negli anni Ottanta,
ma anche dei liberali, dei laici, dei socialisti e addirittura degli ex baathisti
che si sono costituiti in un nuovo Baath. L’opposizione, quindi, non è soltanto una
ma stanno cercando di lavorare su un fronte comune, anche se siamo ben lontani dall’avere
una comunione d’intenti che possa vederli coalizzati in un fronte unico. Fatto sta
che la rivolta viene portata avanti non da questi partiti, che lavorano perlopiù all’estero
- in Europa o in America - ma da componenti che sono sganciate da ogni formazione
politica. C’è la gioventù, ci sono gli universitari ed i civili tout court ad opporsi
all’attuale potere.
D. - Una componente importante è poi quella dei
profughi, che con la loro presa di coscienza possono contribuire, dall'estero, ancora
di più a informare e sensibilizzare…
R. - Esattamente. Purtroppo il
numero dei profughi è destinato ad aumentare, per via della Turchia che ha chiuso,
negli ultimi due giorni, le sue frontiere perché era in corso l’elezione del Parlamento.
Vedremo, nei prossimi giorni, come il flusso migratorio continuerà e non solo verso
la Turchia, ma anche verso il Libano e la Giordania. (vv)