Siria: infuriano gli scontri, civili in fuga. Gli Usa: è crisi umanitaria
Non accenna a fermarsi la violenza in Siria, dove da questa mattina è in corso una
sanguinosa battaglia nella città di Jisr al-Shungur, al confine con la Turchia. La
tv di Stato riferisce di due morti accertati e di molti prigionieri catturati dall’esercito
siriano che da giorni assedia i ribelli asserragliati in città. Ma a preoccupare,
ora, è anche la situazione umanitaria. Il servizio di Roberta Barbi:
Dopo una
settimana di bombardamenti, questa mattina l’esercito siriano del presidente al Assad
è entrato a Jisr al-Shughur, per “espellerne i gruppi armati”. La tv di Stato di Damasco
definisce così i ribelli che si oppongono al governo e che descrive “barricati nel
centro e nelle periferie”. Ci sono vittime, molte le persone catturate, tante le armi
sequestrate e gli ordigni disinnescati con cui gli insorti avrebbero minato ponti
e strade. Sempre la tv di Stato riferisce di “aver ripulito l’ospedale nazionale”
dai gruppi armati, mentre testimoni oculari hanno raccontato alla Bbc di sparatorie
e case incendiate. Jisr al-Shughur è ormai una città fantasma, data la sua posizione
vicina al confine con la Turchia, dove i profughi ospitati nelle tendopoli tirate
su nel sudovest sarebbero ormai più di cinquemila, secondo fonti ufficiali turche.
E mentre gli Stati Uniti accusano il governo siriano di aver causato una crisi umanitaria
nel nord del Paese, lo sdegno dell’Europa è espresso dalle parole dell’Alto rappresentante
per la politica estera dell’Unione, che chiede di porre fine alla repressione, di
rilasciare i prigionieri politici che restano in carcere nonostante l’amnistia e di
autorizzare l’ingresso in Siria della Croce Rossa e di osservatori internazionali
per verificare il rispetto dei diritti umani. Infine, all’Onu è allo studio una bozza
di risoluzione promossa dalla Gran Bretagna e appoggiata da Francia, Germania e Portogallo
che riceve, però, il no della Russia.
E proprio sulla spaccatura in seno
alla comunità internazionale causata dalla situazione siriana, Eugenio Bonanata
ha intervistato Stefano Torelli, responsabile Medio Oriente e Maghreb di Equilibri.net
che analizza, in particolare, la posizione di Mosca:
R. - La Siria
è sempre stata l’alleato privilegiato della Russia sin dai tempi della guerra fredda,
quando la Siria era proprio il "satellite" per antonomasia dell’Unione Sovietica nell’area
mediorientale. Ultimamente, un paio di anni fa, la Russia ha firmato un accordo per
rimettere in funzione una propria base militare navale nel porto di Tartus in Siria:
questo vorrebbe dire per la Russia avere una base sul Mar Mediterraneo, una cosa che
Mosca ha sempre cercato sin dagli imperi zaristi. Inoltre tra i due Paesi ci sono
accordi economici, militari e di sicurezza, infatti tutto l’arsenale bellico della
Siria proviene dalle industrie russe. Per queste ragioni la Russia ha tutto l’interesse
a mantenere questa situazione in Siria, dove, invece, un eventuale cambiamento di
governo potrebbe anche portare alla creazione di un ambiente ostile per la Russia.
Questo, per il momento, è il motivo principale della discordia: la Russia, a differenza
di altri teatri, ha interessi diretti in Siria e quindi eserciterà tutta la sua influenza
per far sì che la situazione non venga modificata, almeno non tramite lo strumento
del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
D. - Anche alla luce dell’atteggiamento
della Turchia che ha voltato le spalle a Damasco, c’è ancora spazio per la mediazione?
R.
- Questo a mio avviso è un tassello in più che fa pensare che il regime di Assad sia
sempre più isolato e che una mediazione cominci ad essere, se non impossibile, difficilissima!
D.
- Quanto è possibile un intervento militare nel Paese?
R. - Il segretario
generale della Nato, Rasmussen, ha testualmente risposto che la Nato non può intervenire
in tutte le crisi del mondo, lasciando intendere che forse ancora non siamo nella
condizione per un intervento militare. Certo è che l’escalation verbale da parte di
alcuni Paesi occidentali - soprattutto Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, cui adesso
si aggiunge anche la Turchia - sta pian piano salendo e di solito questo è un campanello
di allarme, nel senso che spesso a tutto questo segue un’azione più concreta. (ma)